Mr. Robot 1x09 “eps1.8m1rr0r1ng.qt”: la recensione

Ad un passo dal finale di stagione, Mr. Robot si conferma come una delle migliori nuove serie dell'anno, rispondendo ad un quesito cruciale

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Spoiler Alert
"You knew all along, didn't you?"

Tutti gli elementi che rendono la nuova serie di USA Network meritevole di essere non solo vista, ma anche apprezzata come una delle migliori novità dell'anno – Daredevil insidia il primato – non hanno quasi nulla a che fare con quelli che dovrebbero essere i suoi temi principali. Qualunque altra serie avrebbe percorso altre strade già scritte, e qualunque altra serie si sarebbe condannata fin dal principio ad una nicchia di mediocrità. Perché Mr. Robot non è nulla di ciò che dovrebbe essere, ed è proprio questo elemento, unito ad una enorme dose di autoconsapevolezza che sfiora il metatelevisivo, a salvarlo.

In fondo cos'è Mr. Robot? Una serie su un hacker, diremmo. Descrizione giusta, ma anche molto sbrigativa e superficiale. Una critica a quella società arrivista, consumista, dilaniante che amiamo tanto odiare, forse per esorcizzare il fatto che ci siamo, e per sempre ci saremo, immersi fino al collo. Andiamo meglio, ma ancora non ci siamo. Partiamo allora da un'altra prospettiva, da un padre che negli anni '90 si trova a dover impartire una lezione a suo figlio e, come la serie che stiamo seguendo, sceglie un approccio diverso rispetto a quello che dovrebbe seguire, forse indirizzando per il resto della vita di Elliot il suo punto di vista sulle persone e sulla società in generale. Nell'incontro tra il bambino e Mr. Robot (ma quanto è bella l'idea di mostrare nella opening il titolo della serie usando la stessa insegna del negozio?) la chiave di lettura dell'episodio, forse della serie in generale.

Raccontare ciò che è ovvio con stile, con padronanza degli argomenti, giocando su un'ottima esecuzione e sull'empatia con i protagonisti. E soprattutto con l'onestà di chi sa di rivolgersi ad un tipo di spettatore che nel 2015 non è più così ingenuo, che vive la serialità anche nelle pause tra un episodio e l'altro, confrontandosi in rete e informandosi. Sorprendere è difficile, ma si può ancora emozionare. Mr. Robot è Fight Club, lo è stato palesemente fin dal principio, fin dal primo episodio, dai temi sviscerati alla possibilità, ventilata di settimana in settimana, che il personaggio di Slater fosse un'allucinazione del protagonista, in particolar modo suo padre. Le cose vanno esattamente come avevamo sospettato fin dall'inizio, ma a questo punto non importa più.

Mr. Robot bussa con inquietante puntualità alla porta della mente di Elliot, e da quel momento non lo abbandonerà più fino alla rivelazione conclusiva, in un percorso di riscoperta e confronto tra padre e figlio. Darlene e Angela intanto sono sulle tracce del protagonista, ma, come avvenuto in precedenza quando avevamo scoperto il legame tra Elliot e sua sorella, il loro sarà un ruolo solo marginale. Tra le altre cose la serie di Esmail evita di perdersi in inutili spiegoni per rimarcare l'ovvio, filtra gli eventi nascosti attraverso un legame tra Elliot e noi (proprio noi che stiamo guardando e sappiamo e vogliamo ascoltare la confessione del protagonista). Quindi lo sguardo smarrito di Malek che pensa (non c'è bisogno di parlare) "you're gonna make me say it, aren't you?" prima del fatidico "I am Mr. Robot".

E qui, suggellato dalle note di Where is my mind (più palese di così davvero non si può), il cerchio si chiude. Con eleganza, senza scossoni che non siano puramente emotivi. Perché, lontano dall'essere una pallida imitazione del romanzo di Palahniuk o del film di Fincher, Mr. Robot è riuscito a guadagnarsi una fiducia e un interesse che vanno al di là del colpo di scena occasionale e, diciamocelo, ampiamente anticipabile. Lo ha fatto con un'esecuzione forse non impeccabile, ma capace di meritarsi la possibilità di giocare con un approccio che – proprio per la particolare natura della storia – dice e non dice, nasconde e suggerisce, presenta personaggi titanici e li muove all'interno di un contesto in cui la coerenza scricchiola, ma dove chi manovra tutto conosce abbastanza bene la "magia" del racconto per nasconderci i fili che muovono i pupazzi.

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