Mr. Robot 1x09 “eps1.8m1rr0r1ng.qt”: la recensione
Ad un passo dal finale di stagione, Mr. Robot si conferma come una delle migliori nuove serie dell'anno, rispondendo ad un quesito cruciale
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Tutti gli elementi che rendono la nuova serie di USA Network meritevole di essere non solo vista, ma anche apprezzata come una delle migliori novità dell'anno – Daredevil insidia il primato – non hanno quasi nulla a che fare con quelli che dovrebbero essere i suoi temi principali. Qualunque altra serie avrebbe percorso altre strade già scritte, e qualunque altra serie si sarebbe condannata fin dal principio ad una nicchia di mediocrità. Perché Mr. Robot non è nulla di ciò che dovrebbe essere, ed è proprio questo elemento, unito ad una enorme dose di autoconsapevolezza che sfiora il metatelevisivo, a salvarlo.
Raccontare ciò che è ovvio con stile, con padronanza degli argomenti, giocando su un'ottima esecuzione e sull'empatia con i protagonisti. E soprattutto con l'onestà di chi sa di rivolgersi ad un tipo di spettatore che nel 2015 non è più così ingenuo, che vive la serialità anche nelle pause tra un episodio e l'altro, confrontandosi in rete e informandosi. Sorprendere è difficile, ma si può ancora emozionare. Mr. Robot è Fight Club, lo è stato palesemente fin dal principio, fin dal primo episodio, dai temi sviscerati alla possibilità, ventilata di settimana in settimana, che il personaggio di Slater fosse un'allucinazione del protagonista, in particolar modo suo padre. Le cose vanno esattamente come avevamo sospettato fin dall'inizio, ma a questo punto non importa più.
E qui, suggellato dalle note di Where is my mind (più palese di così davvero non si può), il cerchio si chiude. Con eleganza, senza scossoni che non siano puramente emotivi. Perché, lontano dall'essere una pallida imitazione del romanzo di Palahniuk o del film di Fincher, Mr. Robot è riuscito a guadagnarsi una fiducia e un interesse che vanno al di là del colpo di scena occasionale e, diciamocelo, ampiamente anticipabile. Lo ha fatto con un'esecuzione forse non impeccabile, ma capace di meritarsi la possibilità di giocare con un approccio che – proprio per la particolare natura della storia – dice e non dice, nasconde e suggerisce, presenta personaggi titanici e li muove all'interno di un contesto in cui la coerenza scricchiola, ma dove chi manovra tutto conosce abbastanza bene la "magia" del racconto per nasconderci i fili che muovono i pupazzi.