Mr. McMahon, la recensione: un viaggio affascinante fra luci e ombre del wrestling

La recensione di Mr. McMahon, la docuserie Netflix sulla carriera e gli scandali del promoter di wrestling Vince McMahon, disponibile su Netflix dal 25 settembre.

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Che prodotto affascinante che è Mr. McMahon. Come viene detto nel primo episodio, il progetto era iniziato con una serie di interviste in cui varie star della WWE e lo stesso Vince McMahon (a capo dell'azienda dal 1982) riflettevano e celebravano il ruolo fondamentale avuto dal promoter nel rendere il wrestling l'industria miliardaria che è oggi. Ma a riprese iniziate nel 2021 scoppiano gli scandali (accuse di ricatti, traffico sessuale e stupro) che portano McMahon a ritirarsi provvisoriamente e poi definitivamente dalla conduzione dell'azienda. A quel punto il documentario cambia. Non sapremo mai cosa sarebbe stato Mr. McMahon nella sua versione originaria: forse un racconto celebrativo nello spirito di The Last Dance, dove gli aspetti controversi del personaggio (di cui non si sapeva l'entità esatta) vengono sì riconosciuti, ma come mali necessari sulla strada per la grandezza.

Invece la bomba è scoppiata, Netflix ha ottenuto di evitare la cancellazione da parte del team legale di McMahon, e il documentario è stato completato con tutt'altra impronta. Un'impronta che a tratti potrebbe ricordare un'altra docu-serie Netflix su un celebre personaggio dell'entertainment: I crimini di Jimmy Savile (2022) sul celeberrimo presentatore BBC amico dei reali inglesi, poi scopertosi predatore sessuale con centinaia di casi di pedofilia all'attivo. Proprio come in Jimmy Savile in Mr. McMahon si riflette molto sulla capacità dei grandi uomini di televisione di nascondersi in bella vista, confondendo astutamente i propri vizi e difetti con quelli del proprio personaggio ("Mr. McMahon" era il nome del personaggio-lottatore interpretato da McMahon sul ring, un cinico e depravato CEO e sostanzialmente una versione romanzata di lui stesso).

In Mr. McMahon però questo lato inquietante non prende del tutto il sopravvento. Forse perché i processi sono ancora in corso, forse per la prudenza di Netflix che non vuole gettare troppo fango su quella WWE con cui ha appena stretto un accordo multimilionario, Mr. McMahon non opta per una demolizione totale stile Jimmy Savile: piuttosto, è come se facesse la "media" tra quest'idea e quella del ritratto (anti)eroico dedicato all'ultimo ballo di Jordan coi Bulls: il racconto delle glorie di McMahon rimane - senza risparmiare critiche a un personaggio che, anche senza molestie, appare di un cinismo rivoltante; ma è costantemente scandagliato, rimeditato, collocato in un'epoca (anzi più epoche) che appaiono lontanissime e da cui alcuni degli intervistati sembrano non vedere l'ora di prendere le distanze.

Nonostante una certa irregolarità nel racconto, comprensibile vista la storia travagliata del progetto (stranissimo ad esempio che si passi dai primi anni 2000 ad oggi, saltando quasi del tutto l'epoca più riconoscibile dei John Cena, Undertaker, Eddie Guerrero e Rey Mysterio) Mr. McMahon emerge ad oggi come il più equilibrato e appassionante in assoluto tra i documentari biografici Netflix: una carrellata dettagliatissima - per gli standard di un prodotto generalista - sulla nascita del wrestling moderno, le sue epoche, la sua crescita economica, il suo gergo ("kayfabe"), le sue star, e ovviamente sull'uomo che per quarant’anni è stato al centro di tutto questo.

Facendo parlare direttamente i suoi protagonisti - da Hulk Hogan a The Rock, da Shawn Michaels a Brett Hart - ripresi in gran parte prima degli scandali, si ottiene un ritratto sorprendentemente sincero e senza peli sulla lingua di cosa è stato vivere quel mondo: la gloria, il divertimento, l'amore del pubblico da un lato; le condizioni di lavoro disumane, le macchiette razziste, l'oggettificazione femminile, le morti sospette per droghe e concussioni dall'altro. Lungi da trattare ipocritamente McMahon come il mostro che si annida in un ambiente perfetto, Mr. McMahon fa la scelta molto più coraggiosa di raccontarlo come cuore pulsante di un sistema di cui incarna al 100% le contraddizioni. Senza nulla togliere alla statura del professionista. E nulla alla bassezza dell'uomo.

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