Mozart in the Jungle (seconda stagione): la recensione
Tra un "maestro" e un "fortissimo", la seconda stagione di Mozart in the Jungle continua a convincere con eleganza e personalità
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Siamo ancora una volta a New York, anche se nel corso della stagione ci sposteremo addirittura in Messico, e ancora una volta seguiamo le vicende personali e professionali – più queste ultime – degli orchestrali della Filarmonica della città. Diretti dal maestro Rodrigo De Souza (un ispirato e sempre adorabile Gael Garcia Bernal) i musicisti dovranno barcamenarsi come al solito tra un Beethoven e un Haydn, mentre saranno messi a dura prova dalle più terrene minacce di licenziamenti e tagli di finanziamenti. Il punto di vista privilegiato rimane come lo scorso anno quello dell'oboista Hailey (Lola Kirke), mentre per forza di cose è più defilato il ruolo dell'ex maestro Pembridge (Malcolm McDowell).
Qualcuno muore, qualcuno si innamora, qualcuno sogna e viene schiacciato dalle sue aspirazioni, ma non sono queste le immagini fondamentali, quelle che rimangono dopo la visione. Mozart in the Jungle è lo sguardo incantato da bambino di Rodrigo mentre dirige l'orchestra, è la risata di Hailey, è la piccola soddisfazione nel riconoscere una famosa partitura e la curiosità di approfondire quelle invece sconosciute. E lo è ancora di più in un anno in cui, come detto, la sinfonia metropolitana (lo scorso anno facevamo un paragone con i titoli di Manhattan di Woody Allen) lascia il posto ad uno sguardo più vicino ai protagonisti e in cui l'episodio migliore, "Touché Maestro, Touché", non racconta nient'altro al di fuori di una normale serata di divertimento degli orchestrali.