The Moth Diaries - la recensione

[Venezia 2011] Uno dei pochi horror presentati al festival di Venezia si rivela un prodotto commerciale senza alcun motivo di interesse se non Lily Cole...

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Tratto dall’omonimo romanzo di Rachel Klein del 2002, The Moth Diaries ha tutti gli elementi classici del teen horror al femminile: un severo collegio isolato dalla città e dalle scuole maschili, un gruppo di compagne di scuola molto unite, una nuova arrivata strana e bizzarra che sconvolge il vecchio equilibrio, ma è chiaro che nasconda qualcosa di losco e sia arrivata per infastidire. Ovviamente nessuno vuole credere alla protagonista di turno che per prima capisce che qualcosa non quadra, che quella “tizia” è strana: “Sei gelosa di lei”. Vero o meno che sia, e appurato che, effettivamente, la nostra protagonista un po’ antipatica e rompi lo è davvero, il resto della pellicola diretta da Mary Harron (la stessa di American Psycho) è ben peggio della fiera dei cliché.

Dove in tanti film, seppur banali e stupidotti, si arriva bene o male a una conclusione che quantomeno chiude il cerchio narrativo della vicenda, qui si vorrebbe lavorare “in levare”, non spiegando il chi e il perché della figura misteriosa, ma lasciando che ognuno ci veda e ci capisca quel che vuole.

Sarebbe anche una bella idea, coraggiosa, se la regia fosse in grado di caricarsi di un compito quanto mai ambizioso e difficile. E invece ci si trova di fronte a composizioni di immagini e sequenze più che mai anonime, mai un minimo di inventiva, che sia un’illuminazione o un effetto sonoro. La trama ha falle da tutte le parti, tra ragazze che non sanno nuotare (perché?), amori lesbo e suicidi giustificati semplicemente perché le vittime sono “artisti”. Così, l’unica cosa che finisce davvero con il mettere un po’ di paura è il viso da aliena di Lily Cole, sicuramente bellissima se si tiene conto del suo fisico statuario, ma effettivamente un po’ inquietante quando guarda dritta in camera.

A contenderne la scena è una Sarah Bolger che non brilla né per fascino nè per bravura. Va bene che certe volte la responsabilità di cattive interpretazioni è più della sceneggiatura e della regia che dell’attore, ma è difficile pensare che cambiare la propria espressione da cane bastonato a qualsiasi altra, a scelta, non avrebbe irritato neanche loro.

 
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