Mostro - La storia di Jeffrey Dahmer (miniserie): la recensione

Mostro - La storia di Jeffrey Dahmer fa un lodevole tentativo di essere qualcosa di diverso, ma non ci riesce fino in fondo

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Per una ragione che non ci è del tutto chiara, che sia stato per non rovinare al pubblico la visione della serie o perché Netflix non fosse del tutto soddisfatta del risultato finale, i 10 episodi di Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer sono sbarcati sulla piattaforma streaming in maniera peculiare, senza alcuna promozione e senza nemmeno concedere alla stampa gli screener per le usuali recensioni anticipate, il che è inconsueto considerati i nomi legati al progetto, quelli cioè di Ryan Murphy e Ian Brennan e lo è anche alla luce del precedente successo di American Crime Story: L’assassinio di Gianni Versace.

  • GUARDA - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, secondo trailer per la serie tv Netflix con Evan Peters

IL PROBLEMA DI MOSTRO:LA STORIA DI JEFRREY DAHMER

In Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer la mano di Ryan Murphy è evidente in molti aspetti della serie, dalla sua stessa natura grottesca, al parterre di eccezionali attori che le danno vita, primo tra tutti Evan Peters, che non è decisamente estraneo a simili ruoli e veste i panni del protagonista con convincente efficacia. Anche l'impronta stilistica della serie identifica in maniera manifesta l'uomo che ha costruito il proprio successo sulla sua capacità di trasmettere l'inquietudine dei suoi personaggi e delle loro scellerate azioni al pubblico, così come lo è lo sforzo dello show di non glorificare il suo protagonista, uno sforzo, va detto, che non sempre però risulta riuscito. Il modo in cui a volte la telecamera indugia in alcuni raccapriccianti attimi, fotografandoli nel tempo, come quando Dahmer giace con il manichino rubato da un negozio e poi, in seguito, con alcune delle sue vittime, di cui venera in maniera ossessiva la perfezione fisica e come se si volesse dare una dignità artistica all'orrore, è fin troppo disturbante per essere davvero apprezzabile e trasla il concetto di violenza dall'apertamente brutale al suggestivo.

Il risultato finale è uno show spezzato in due in cui, nella prima parte, ci si concentra sul protagonista e sulla sua storia di origine raccontata con diversi salti temporali per poi fare una brusca virata con il meraviglioso sesto episodio intitolato Silenced ed il deciso tentativo dello show di dimostrare, peraltro a ragione, come la storia di questo serial killer meriti di essere presentata come una storia di denuncia sociale e di razzismo, di indifferenza delle forze dell'ordine e di una società che non era interessata alla voce della comunità in cui i crimini di Dahmer sono stati perpetrati, così come non lo era a quella di chi ha cercato di fermarlo, come la straordinaria Niecy Nash nel ruolo di Glenda Cleveland.

Sebbene l'intento sia quindi lodevole, il risultato finale risulta a volte stancante per l'ossessività con cui ribadisce ad alta voce il concetto, come se il pubblico non fosse abbastanza sveglio per afferrarlo la prima volta ed abbia bisogno che gli venga ripetuto scandendo bene le parole.

Nemmeno una serie complessa e raccontata già molte volte come quella sulla storia di Dahmer riesce quindi del tutto a sfuggire da alcuni cliché dovuti ad un inutile tentativo di rivalsa morale nei confronti di una persona che non ha mai sentito come un essere umano funzionale, come nel caso del Detective che, in pieno interrogatorio, se la prende con Dahmer per il fatto che non ricordi i nomi delle sue vittime e tenda a confonderli l'uno con l'altro, come se non fossero persone. D'altra parte, se le avesse considerate tali, non avrebbe nemmeno commesso i brutali omicidi che ha commesso.

LA STORIA DI TONY HUGHES

Se quindi la serie non riesce sempre a gestire l'esplosivo problema Dahmer nella maniera corretta, per un glorioso attimo, dimostra invece che è possibile fare di uno show come questo qualcosa di completamente diverso, dando davvero dignità alle vittime, come accade appunto in Silenced.

Scritto da David McMillan e Janet Mock e diretto da Paris Barclay, il 6° episodio di Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è riuscito sotto tutti i punti di vista ed introduce fin dalla nascita il personaggio di Tony Hughes, interpretato da Rodney Burford, un afroamericano non udente, nonché l'unica delle vittime del serial killer che abbia avuto un impatto su Dahmer, tanto da avere avuto con lui una breve ma significativa relazione, prima di essere inevitabilmente ucciso. Il modo in cui la storia di Tony viene raccontata, il calore umano che traspare dal personaggio, dalla sua famiglia e dai suoi amici, dimostrano come la vita di Tony non sia definita dalla sua morte, ma lasciano in sospeso l'interrogativo sul perché la serie non abbia usato più di frequente questo approccio narrativo, con il sospetto che le peculiari caratteristiche di questo personaggio abbiano in un certo senso reso più facile il compito, ma anche come se le altre vittime del serial killer non meritassero lo stesso trattamento e la stessa dignità.

Sebbene Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer dimostri quindi come sia possibile raccontare certe storie con umanità ed un approccio nuovo, non ha il coraggio di farlo fino in fondo, concludendo persino il migliore dei suoi episodi con l'ennesima scena raccapricciante incentrata sul killer ed i suoi orrori, piuttosto che sulla vittima.

Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è disponibile su Netflix a partire dal 21 settembre 2022

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