Moschettieri del Re: La Penultima Missione, la recensione
Pensato come una parodia, Moschettieri del Re è di fatto un parodia ma di 30 anni fa almeno con velleità moderne.
Basterebbe l’uso della musica per svelare lo sbilancio tra velleità e possibilità. Una colonna sonora altisonante, tutta fiati e percussioni, accompagna buona parte del film ma è sempre fuori tono perché accoppiata a un look povero, che punta al naturalismo invece di operare scelte visive che gli diano personalità. Moschettieri del Re ha la luce chiara delle commedie, una scarsa color correction (finalizzata comunque al naturalismo) e poca considerazione delle ombre, anche di notte. Inevitabilmente, lo score finisce per essere sempre la musica sbagliata nei momenti sbagliati, perché accompagna con enfasi scene che di enfasi non ne hanno alcuna. È il destino di questa parodia vecchio stampo: tutto è così fuori luogo che anche i pochi dettagli centrati e di gran livello finiscono per esserlo.
Nel trionfo di sequenze d’azione ingiustificatamente ipermontate (e ovviamente non bene, cioè non per agevolare la comprensione ma, sembra, per ostacolarla) solo Favino trova una via propria alle movenze, alle idee e all’atteggiamento del proprio personaggio. A partire da una parlata inventata (da sé) da cui discendono anche una valanga di gag e un uso del ritmo impeccabile, riesce anche a dare un’imprevista dolcezza a D’Artagnan, una che non sta nella scrittura ma più che altro nei toni della recitazione. Ed è incredibile che tra quattro ottimi attori solo lui sembri lavorare per creare il senso di un ensemble, per scambiare uno sguardo complice durante un piano d’ascolto o per pronunciare una battuta con un sorrisetto incerto che aspetta la complicità degli altri. Certo ha il personaggio più compagnone di tutti ma è anche assurdo che si faccia in quattro da solo per essere il collante non tanto dei moschettieri ma proprio dei 4 attori in scena!