Mosaic, la recensione della serie di Steven Soderbergh

La nostra recensione di Mosaic, la nuova serie di Steven Soderbergh in onda su Sky Atlantic HD

Critico e giornalista cinematografico


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Non era difficile prevederlo ed in effetti è stato così, quel che frena più di tutti Mosaic è proprio ciò che la caratterizza di più, ovvero la sua natura di serie thriller pensata per essere veicolata via app, una storia investigativa in cui chiunque scarichi l’app può navigare le scene a piacimento, seguendo certe piste invece di altre, vedendo certe scene prima di altre e finendo per comporre la propria investigazione. Questo comporta una scansione pensata per scenette, molto dialogate e con un numero controllato di personaggi in una location ben definita. All’inizio è abbastanza invisibile ma lungo andare il racconto inizia a soffrire molto le costrizioni.

Che la storia sia un murder mystery ci è introdotto nella prima scena, in cui personaggio che in quel momento non conosciamo né riconosciamo discutono di nuove accuse ai danni di uno dei due. Dopo quella inizia la trama propriamente detta.

Sharon Stone è una scrittrice di libri per bambini miliardaria che ospita nella sua casa di montagna un aspirante scrittore. Capiamo che è interessata a lui sessualmente quando la fidanzata di lui arriva e lei glielo rinfaccia. A consolarla arriva prontamente un truffatore con l’incarico di farle vendere i suoi terreni. Purtroppo però se ne innamora. È a questo punto, all’inizio del terzo episodio, che arriva l’omicidio. Non vediamo la dinamica chiaramente e da qui seguiamo da qui un appesantito detective di provincia che cerca il colpevole.

In parole povere questa è la versione della storia di Soderbergh, il quale come fosse un utente dell’app, ha messo in fila le scene e i momenti a proprio piacimento per farne la miglior narrazione possibile. Dalla scena iniziale nel presente (la prima del primo episodio) in cui l’investigazione è iniziata, subito andiamo a quattro anni prima per vedere gli eventi che saranno discussi per il resto delle puntate. È il lavoro di qualsiasi filmmaker o sceneggiatore quello di organizzare il racconto in modo che sia il più appassionante, rivelatore e significativo possibile. Si tratta di scandire le scene e trattenere le informazioni, rilasciandole lentamente o tutte di colpo a seconda dell’utilità. Qui tuttavia la sensazione è che Soderbergh non potesse tutto, ma avesse (come in effetti è) solo certi blocchi a disposizione, scene già realizzate, da mescolare.

Forse Mosaic poteva essere un buon film, ma per essere una buona serie d’investigazione gli mancano troppi elementi. Concentrato com’è sui dialoghi dimentica completamente l’ambiente (che pure sarebbe interessante, specie nell’innevato lungo flashback dei primi due episodi).

Top Of The Lake o True Detective (stagione 1) ma anche Twin Peaks hanno dimostrato che una delle maniere in cui una crime story si spande lungo 10 o 12 episodi è proprio ampliandone il contesto e non solo l’intreccio investigativo o il numero di personaggi. Andando a guardare i cittadini, le piccole comunità, i paesaggi, l’ordinaria assurdità e le vite dei caratteri marginali, creano quell’universo che riconosciamo come una delle componenti più affascinanti delle serie e che i film, per evidenti limiti temporali, faticano a creare con il medesimo livello di dettaglio.

Ma anche solo prendendo a paragone una serie molto chiusa nelle sue stanze come The Night Of, è evidente che Mosaic non ne ha la medesima capacità di lavorare sull’inutile.

Se una cosa infatti ci hanno insegnato le serie tv (qualora davvero ce ne fosse ancora bisogno) è che in un racconto moderno l’inutile, ciò che non serve all’intreccio e che non ha nessuna economia nella trama se non definire i personaggi, può essere sublime tanto quanto il necessario al racconto. Mosaic non ha nemmeno una scena che non serva a chiarire o ingarbugliare le acque, perché nasce come un percorso in cui ogni tappa abbia un senso, in una direzione o nell’altra. E forse quella era davvero la maniera migliore di vederla, con l’app, con il percorso personalizzato, facendo da sé la propria investigazione e non attraverso la ricostruzione del suo autore, in una cornice troppo ambiziosa (quella televisiva a marchio HBO).

E fa specie che proprio Soderbergh che ha realizzato qui un prodotto pienamente nel suo stile, con le sue variazioni di temperature di colore, il uso di carrelli e zoom per creare dinamismo nei dialoghi, non sia riuscito a creare interesse in una storia gialla. Lui che sul mistero, il detective e l’inganno ha fondato una gran parte della propria filmografia.

Ma Mosaic è troppo l’ossatura di un giallo e poco quel giallo vero. Come un essere umano tutto pelle ossa, non ha nulla che gli manchi ma nessuna ciccia a dare forma alla figura. Accurato nel costruire le svolte non prende mai una pausa per deviare dall’indispensabile e costruire il senso degli eventi. Pretende che le svolte e le informazioni bastino a se stessi.

Questo senza contare che il racconto non è per niente agevole. Non è una storia che si sviluppa con facilità e chiarezza, anzi è molto ingarbugliata senza il fascino delle serie piene di misteri (che in realtà sono molto chiare perché scelgono di non dare informazioni). Mosaic purtroppo privo di quella retorica del cinema e della tv che ci rende tutto più chiaro ma anche più appassionante, è la bozza di una possibile serie che andrebbe molto rivista e dovrebbe durare decisamente più di 6 episodi.

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