Mortal, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020
La mitologia norrena e la ricerca di identità di un giovane dotato di inspiegabili poteri sono alla base di Mortal, film dal buon potenziale non del tutto sfruttato, presentato al Trieste Science + Fiction 2020
Il lungometraggio, presentato al Trieste Science + Fiction 2020, segue quello che accade al giovane Eric, in fuga ormai da anni dopo un misterioso incendio in cui hanno perso la vita gli abitanti di una fattoria. Il ragazzo americano si imbatte in Norvegia in un gruppo di giovani e uccide un adolescente in modo misterioso. Per cercare di capire cosa gli sta accadendo, la polizia chiede l'intervento della psicologa Christine (Iben Akerlie), dalla vita complicata, che lo ascolta e crede in lui quando sostiene di avere dei poteri che non riesce a controllare. La sua pericolosità porta al coinvolgimento di un gruppo di agenti, guidati da Hathaway, situazione che complica ulteriormente il tentativo di Eric di capire in che modo usare i propri poteri per il bene e capire realmente la propria natura.
Il protagonista trova inoltre il modo di non rendere l'intensità di Eric eccessiva, mantenendo la giusta dose di fragilità emotiva e rabbia, permettendo di rendere la sua lotta per trovare un equilibrio e cercare delle spiegazioni per la propria situazione comprensibile e coinvolgente.
Øvredal, recentemente dietro la macchina da presa di Scary Stories to Tell in The Dark, costruisce bene l'atmosfera sfruttando le splendide location scelte in Norvegia per le riprese, faticando invece nella costruzione delle scene d'azione. La narrazione, purtroppo, procede lentamente e con una certa incertezza verso un finale che spreca degli spunti davvero interessanti, come la reazione della comunità ai poteri di Eric tra chi lo considera una divinità da venerare e chi un pericolo mortale, immergendosi totalmente nel mondo sovrannaturale.