Il morso del coniglio, la recensione
Puntando sull'atmosfera e sulla chimica tra le due protagoniste, Il morso del coniglio preferisce la componente psicologica a quella horror
La nostra recensione di Il morso del coniglio, disponibile su Netflix dal 28 giugno
Il morso del coniglio ha come protagonista Sarah, una dottoressa che segue le donne incinte e vive con la piccola figlia Mia. Il marito ha una nuova compagna, il padre è morto di recente, la madre è ricoverata in un ospedale psichiatrico. La donna cerca i tutti i modi di lasciarsi alle spalle il suo oscuro passato, che però torna a galla quando la bambina comincia a sostenere di essere un'altra persona.
Il morso del coniglio infatti è, come di frequente nel panorama odierno, soprattutto la storia di una donna e di una madre, in difficoltà a assumere questo ruolo e a affrontare i propri fantasmi. Il problema è quando, più che avvicinarsi a The Babadook, il film scivola in certe tendenze da elevated horror, in particolare il preferire la componente drammatica/psicologia a quella di terrore. Sono frequenti le sottolineature e i piccoli indizi, verbali e non, che anticipano i colpi di scena, dando forza al discorso ma inevitabilmente danneggiando il coinvolgimento dello spettatore. Che viene meno soprattutto quando, una volta sciolti tutti i nodi, il film non fa altro che raccontarne le prevedibili conseguenze, senza aver più molto da dire. Al di là delle premesse, non c'è infatti un sufficiente scavo nell'interiorità della protagonista da giustificare approccio e minutaggio. Tutto questo verrà poi esemplificato da una scena sul finale, dove i lampati elementi horror presenti vengono totalmente lasciati sullo sfondo per ritrarre un momento molto commovente, ma anche molto blando.