Il morso del coniglio, la recensione

Puntando sull'atmosfera e sulla chimica tra le due protagoniste, Il morso del coniglio preferisce la componente psicologica a quella horror

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La nostra recensione di Il morso del coniglio, disponibile su Netflix dal 28 giugno

Che il "coniglio" del titolo sia una simbolo lo chiariscono le primissime scene, in cui una madre chiama "bunny" la sua figlia di sette anni. Un vero e proprio coniglio non tarderà poi molto a intrufolarsi nella loro casa, rivelandosi presenza inquietante e miccia della rottura del fragile equilibrio tra le due. Se per tutta la durata del film il suo ruolo concreto rimarrà ambiguo, molto meno lo sarà cosa rappresenta. Sunto perfetto di tutto l'esordio alla regia di Daina Reid.

Il morso del coniglio ha come protagonista Sarah, una dottoressa che segue le donne incinte e vive con la piccola figlia Mia. Il marito ha una nuova compagna, il padre è morto di recente, la madre è ricoverata in un ospedale psichiatrico. La donna cerca i tutti i modi di lasciarsi alle spalle il suo oscuro passato, che però torna a galla quando la bambina comincia a sostenere di essere un'altra persona.

A convincere del film sono soprattutto due fattori. Il primo è l'ottimo utilizzo degli ambienti: gli spogli e soleggiati paesaggi australiani e gli interni spesso al buio e poco rassicuranti. La regista ricorre quasi sempre a establishing shot all'inizio di una scena o a campi medi nel bel mezzo di un dialogo, per evidenziare il contesto in cui si trovano i personaggi. Tra la desolazione degli spazi aperti o la claustrofobia della mura domestiche, il senso di minaccia si respira continuamente. L'atmosfera è dunque elemento portante nella costruzione della tensione: tra giochi di specchi e inquadrature distorte, i tropi del genere sono ben riconoscibili, ma sono messi in scena con efficacia. A ciò si aggiunge l'ottima prova della piccola Lily LaTorre nei panni di Mia, continua fonte di terrore. L'attrice crea una buona chimica con Sarah Snooke (Succession), interprete della madre, e grazie a loro due il film trova il proprio motivo d'interesse. Peccato che il resto non sia alla loro altezza.

Il morso del coniglio infatti è, come di frequente nel panorama odierno, soprattutto la storia di una donna e di una madre, in difficoltà a assumere questo ruolo e a affrontare i propri fantasmi. Il problema è quando, più che avvicinarsi a The Babadook, il film scivola in certe tendenze da elevated horror, in particolare il preferire la componente drammatica/psicologia a quella di terrore. Sono frequenti le sottolineature e i piccoli indizi, verbali e non, che anticipano i colpi di scena, dando forza al discorso ma inevitabilmente danneggiando il coinvolgimento dello spettatore. Che viene meno soprattutto quando, una volta sciolti tutti i nodi, il film non fa altro che raccontarne le prevedibili conseguenze, senza aver più molto da dire. Al di là delle premesse, non c'è infatti un sufficiente scavo nell'interiorità della protagonista da giustificare approccio e minutaggio. Tutto questo verrà poi esemplificato da una scena sul finale, dove i lampati elementi horror presenti vengono totalmente lasciati sullo sfondo per ritrarre un momento molto commovente, ma anche molto blando.

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