The Morning Show 3x09 e 3x10: la recensione

Gli ultimi due episodi di The Morning Show finiscono con coerenza una stagione piena di cambiamenti di fronte e di genere

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione degli episodi finali 3x09 e 3x10 di The Morning Show, disponibili su Apple TV+

I due episodi finali della terza stagione di The Morning Show suonano come la fine della serie (in realtà una quarta stagione è stata annunciata) per come portano alle estreme conseguenze le premesse non solo della stagione ma di tutta la serie, iniziata con l’assunzione di Bradley Jackson al programma televisivo al centro della trama in risposta allo scandalo sessuale di un presentatore e qui “chiusa” con la sua uscita per uno suo scandalo di cui renderà conto all’FBI in un momento di ridicola assunzione di responsabilità. E tutto con una specie di apice di tensione da thriller in cui l’acquisizione del network viene fermata all’ultimo momento utile attraverso un colpo di mano ad opera della star (Jennifer Aniston). Niente di nuovo per la serialità americana, ma un altro mondo rispetto a come The Morning Show si era presentata nella prima stagione.

Abbiamo visto prima Alex attirare il magnate Paul Marks, poi iniziare una storia con lui, tramare per sostituire UBA con un nuovo network tutto loro, mettersi in aperto contrasto con Cory e poi ora in un capovolgimento di fronte il sospetto (in seguito confermato grottescamente) del fatto che lui sorvegli una giornalista che indaga su di lui la spinge a un cambio di fronte totale. Sono il tipo di svolte, coincidenze e intrecci di trama che si trovano nella serialità procedural più svelta, quella deve chiudere un arco narrativo in 45 minuti e quindi non ha troppo tempo per le sottigliezze.

Nelle ultime due puntate The Morning Show si è trasformata in una serie thriller, Paul Marks si è ribaltato in un cattivo senza sfumature, da che ci era stato mostrato in maniere più sfumate e abbiamo capito che Cory è un povero diavolo con un rapporto difficile con la madre e un amore mai sopito per Bradley. Questo tipo di altalena tra generi e soprattutto tipologia di scrittura lo abbiamo visto per tutta la stagione, molto disomogenea per qualità e con una passione per la risoluzione convenzionale delle situazioni, alle volte senza timore di mettere in bocca ai personaggi le considerazioni che dovremmo capire noi.

In tutto questo il racconto della vita e del lavoro nel network diventa uno sfondo, lasciato ai ranghi inferiori e ai personaggi secondari, che vivono dal basso questi sconvolgimento con una specie di spirito di classe sindacalista che coinvolge sempre le stesse 5-6 persone di una società grandissima. È tutto così maldestro e goffo da abbassare la serie al livello della trasmissione di cui racconta. La scelta di concentrarsi per questa stagione (e in parte per quella scorsa) sulle dinamiche più grandi, quelle aziendali (dalla creazione di una piattaforma di streaming all’arrivo di una nuova proprietà e all’iniezione di nuovi direttori), sembra aver trasformato la serie in una soap in cui persone molto ricche e abbienti mostrano le loro paturnie.

Come in Downton Abbey poi non dimentichiamo mai gli strati più bassi, che discutono delle questioni dei signori mentre di sfuggita con qualche occhiata suggeriscono le proprie trame sentimentali. L’emotività e non la dialettica, le aspirazioni, i problemi o le inclinazioni personali, ha guidato lo sviluppo dell’intreccio (come nelle soap, di nuovo), e sembra essere alla fine di tutto l’unica cosa che interessi alla serie. Più che curare il capovolgimento di fronte di Alex, a The Morning Show è importato affermare il suo sentimento e il suo ardore nei confronti della professione giornalistica e quanto sia inaccettabile che la persona con cui voleva condividere la vita e fondare una società volesse indagare su una giornalista. È il tipo di svolta che potrebbe alimentare una trama e non quella che la chiude, perché invece che aprire a contraddizioni viene usata come stratagemma per terminarle.

Forse The Morning Show è la serie tv di passaggio, quella che fa da ponte tra il grande racconto degli antieroi che ha fatto la nuova serialità, partendo da I Soprano, e il ritorno al vecchio regime, cioè il racconto della bontà e delle persone per bene. Aver iniziato mostrando uno scandalo da #metoo anche dall’angolazione del predatore sessuale, dimostrando di saper palleggiare tra due parti di un problema e di comprendere anche il punto di vista degli accusati, e aver finito con tutti i personaggi che affermano o la loro correttezza o la determinazione a pagare per gli errori (fatti per amore, si intende) o ancora la loro natura buona in fondo a tutto, è esattamente il tipo di passaggio che ci si può aspettare dal mondo seriale nei prossimi anni.

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