Monkey Man, la recensione
Diviso in due parti che corrispondono a due momenti del protagonista, Monkey Man è incostante ma anche un grande nuovo film d'azione
La recensione di Monkey Man, il film di Dev Patel in uscita al cinema il 4 aprile
Capiamo così che c’è questo ragazzo che guadagna pochi soldi con combattimenti illegali, il quale si vuole infiltrare in un locale prestigioso in cui crimine e polizia incontrano il potere politico. Passa dalle cucine, si fa assumere come lavapiatti e tenta la scalata a una posizione che lo metta a contatto con i clienti. È chiaro da subito che è lì con un secondo fine, ascolta, guarda storto, impara e controlla i movimenti di tutti, c’è una vendetta nell’aria ma è ancora presto per sapere per quale ragione e contro chi. Lo sforzo e il lavoro minuzioso di trama per rendere plausibile, accettabile e concreto il fatto che uno come Dev Patel, con quel volto e quel fisico, sia il nostro eroe d'azione alla fine, unito al lavoro più fisico sulle coreografie e all'atteggiamento giusto nella recitazione (tra divertimento e tigna), paga.
Ed è davvero molto interessante come Dev Patel riesca a riprendere una qualsiasi città indiana del presente come fosse una megalopoli da futuro distopico, fondata su grandissime differenze sociali che passano dall’architettura e dal design, invasa dai media che rimandano notizie di adunate di massa e ripetono immagini di un’elite quasi dittatoriale. È chiaro già visivamente che quello è un mondo fondato sul compromesso tra potere politico, polizia e potere economico alle spese della massa, un posto in cui lo spirito è schiacciato dalla materia e i grandi potenti vivono come monaci in attici dall’arredamento essenziale perché anche lo spiritualismo è un mezzo di conquista del potere.
Una seconda parte più scontata e anche registicamente meno vivace, leverà ogni dubbio: questo è un B movie di vendetta e arti marziali, in cui sono presenti tutti i passaggi obbligati del genere (incluso l’allenamento in un luogo remoto), ma è molto interessante come Dev Patel (che ha scritto la sceneggiatura con John Collee e Paul Angunawela) abbia spostato la collocazione dei singoli elementi. Rimandando alcuni svelamenti, mettendo il protagonista nelle situazioni d’azione più interessanti all’inizio e facendogli sostanzialmente ripetere due volte la medesima impresa (con consapevolezze diverse), Monkey Man sposta la concentrazione da una vendetta fredda a lungo pianificata, che sarebbe lo svolgimento classico, a una vendetta frutto di una purificazione e di un processo di miglioramento spirituale. Non è la storia di un eroe che vuole punire i cattivi, ma quella del trionfo dell’India classica su quella moderna.