Money Shot: La storia di Pornhub

Non è tanto la storia di Pornhub quanto lo stato dell'industria del porno online di oggi, tra leggi, compensi e umanità delle pornodive

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Money Shot: la storia di Pornhub, il film documentario in uscita il 15 marzo su Netflix

Il documentario di inchiesta senza una vera inchiesta è una specialità di Netflix. I documentari che condannano, svelano complotti e illuminano aspetti marci di un micromondo vanno benissimo e vengono prodotti su ogni tema, specialmente quelli più controversi e notoriamente infiltrati da interessi economici giganti. Money Shot applica questo stesso identico format al mondo del porno in streaming, che vuol dire principalmente Pornhub, con un atteggiamento ambivalente che di certo era più sensato nella testa di Suzanne Hillinger, che il film l’ha diretto, di quanto non lo sia nella realtà.

Il punto è di raccontare le ultime traversie del più grande archivio di materiale pornografico del mondo da due fronti. La prima è quella di chi, nel 2020 e per conto del New York Times, ha svelato come in realtà in mezzo a Pornhub ci sia moltissimo materiale pedopornografico o violento che viene condiviso, incluso revenge porn. La piattaforma non può o non vuole controllare tutto e quindi diventa facilmente un posto in cui condividere l’incondivisibile. Il secondo fronte è quello delle lavoratrici del porno, le porno star che hanno una vita e una carriera nel mondo del porno che è cambiata o nata grazie a Pornhub, alle sue molte categorie e alla sua apertura ad un pubblico immenso, che si sono viste costrette a lasciare la piattaforma gratuita per una serie di nuove regolamentazioni americane dietro le quali c’è un gruppo di pressione di stampo conservatore che vuole eliminare il porno.

Sono due facce della stessa medaglia sbagliata, l’idea di raccontare tutto con il tono dell’inchiesta anche là dove non ce ne sia bisogno. Pornhub come tutti i colossi di internet ha una politica spietata e non interamente trasparente, ma mescolare questo discorso con un altro, e cioè con quanto il porno sia un agevolatore di libertà sessuale, body positivity e appropriazione del proprio corpo da parte delle donne (di tutti i tipi di donne), non è per forza corretto. Il secondo è un discorso generale, il primo è uno molto specifico sulla piattaforma. Il fatto che Pornhub non possa o non voglia controllare ha una sua gravità con responsabilità da appurare, il fatto che qualcun altro lo voglia chiudere per ragioni di ideologia conservatrice è una questione completamente diversa.

Suzanne Hillinger però sembra non fare differenza tra questi due approcci, e mette tutto insieme convinta che questo creerà una narrazione complessa in cui nessuno ha davvero ragione e ogni aspetto è affrontato da entrambi i lati. In realtà sono due aspetti, ognuno affrontato da un lato solo. E se qualcosa dovrebbe emergere è l’umanità delle persone coinvolte (le pornoattrici), perché ognuna confessa una storia e uno stile di vita in modi autoassolutori, per creare essa stessa un’immagine di sé il migliore possibile. Non è un vero ritratto ma una serie di autoritratti benigni.

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