Monaco: sull’orlo della guerra, la recensione

Sempre in bilico tra il micro (la backstory tra i due amici) e il macro (la Storia con la S maiuscola), Monaco: sull’orlo della guerra alla fine oltre alla suspense riesce a regalarci anche un epilogo di buon cuore sinceramente convincente.

Condividi
La recensione di Monaco: sull’orlo della guerra, dal 21 gennaio su Netflix

All’inizio non promette particolarmente bene Monaco: sull’orlo della guerra. Questo adattamento del romanzo di Robert Harris a cura dello sceneggiatore Ben Power e diretto da Christian Schwochow ha infatti un inizio piuttosto fiacco, e - complice una messa in scena piuttosto perfezionista ma priva di profondità visiva- sembra promettere uno svolgimento semplicemente accademico di una storia già nota. Ma, forse proprio per questo, la sorpresa è piacevolmente spiazzante quando, dopo aver posto sonnecchiante le basi del racconto, il film entra nel suo core thriller/da spy movie con una spinta decisa e ritmata e con una capacità di farci trattenere il fiato tutt’altro che scontata.

La Storia qui raccontata è quella con la S maiuscola. Monaco: sull’orlo della guerra, come dice già eloquentemente il titolo, racconta di quei giorni decisivi che furono quelli immediatamente precedenti e durante la Conferenza di Monaco del settembre 1938, dove Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier firmarono il trattato che acconsentì a Hitler di annettere al Terzo Reich i territori dei Sudeti (Cecoslovacchia), con l’apparente soddisfazione per i futuri alleati di stare evitando un conflitto armato.

Se gli eventi che ne seguirono sono purtroppo già noti, la cosa bella di Monaco: sull’orlo della guerra è come riesce a innestare in tutto questo la storia personale di due personaggi secondari (e quindi la novità, la prospettiva sconosciuta) che, nonostante siano pedine apparentemente ininfluenti, con le loro piccole-grandi azioni di coraggio (e tanto, tantissimo rischio) riescono a dare una svolta decisiva al corso della storia. Gli assoluti protagonisti sono infatti due ex compagni di Oxford, Hugh Legat (George MacKay), assistente personale di Chamberlain (quest’ultimo interpretato magnificamente da Jeremy Irons), e Paul von Hartmann (Jannis Niewöhner) il quale in qualità di traduttore per il Fuhrer riesce a intrufolarsi alla Conferenza per passare dei documenti riservati all’amico di vecchia data.

Per quanto la regia di Christian Schwochow sia assolutamente invisibile, nascosta al servizio delle pieghe della storia, e per quanto non spicchi per l’originalità della messa in scena, a piccoli tratti piuttosto posticcia (Hitler è veramente poco convincente a guardarsi), Schwochow riesce a mettere in risalto la brillante sceneggiatura di Power e, con essa, le interpretazioni attoriali, tutte estremamente valide ma in cui spiccano soprattutto Irons e George McKay, il primo per l’astuta ambiguità del suo Chamberlain e il secondo per la controllata preoccupazione che trasuda a ogni scena (e che crea un’empatia con il suo personaggio più grande di quella creata da Niewöhner).

Sempre in bilico tra il micro (la backstory tra i due amici) e il macro (si diceva, la Storia con la S maiuscola), Monaco: sull’orlo della guerra alla fine oltre alla suspense riesce a regalarci anche un epilogo di buon cuore sinceramente convincente (per quanto possa sembrare retorico e mélo, non esagera mai), dove l’idea che lo sottende è quella di valorizzare i gesti dei singoli e i loro atti di coraggio: gesti che, per quanto piccoli, non sono mai inutili se attuati con cuore (e mettendo da parte la speranza, viene ripetuto, perché quella è di chi si affida ai gesti degli altri).

Siete d’accordo con la nostra recensione di Monaco: sull'orlo della guerra? Scrivetelo nei commenti!

Vi ricordiamo che BadTaste è anche su Twitch!

Continua a leggere su BadTaste