Mon Crime - La colpevole sono io, la recensione
Da questo retaggio teatrale e cinematografico François Ozon ha tratto una commedia magnetica, intelligente, che mescola l’evidenza della ricostruzione alla moderna lucidità di un film che parla dell’oggi.
La recensione di Mon Crime - La colpevole sono io, al cinema dal 25 aprile
Siamo a Parigi, è il 1935 e l’evento scatenante della commedia è, come da regola, tragicomico. La giovane e squattrinata attrice Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) viene accusata erroneamente dell’omicidio di un celebre produttore teatrale che l’aveva aggredita: la conseguenza è tutto il contrario di quello che ci si aspetterebbe, perché infatti grazie all’aiuto dell’altrettanto squattrinata amica avvocato Pauline Mauléon (Rebecca Marder), Madeleine diventa un’icona femminista, famosa e piena di proposte lavorative come mai avrebbe sognato. A voler rovinare la menzogna di Medeleine arriverà però la vera colpevole, un’attrice di mezza età decaduta (Isabelle Huppert che gioca magnificamente con la sua identità divistica) che vuole il merito del suo assassinio… faticando a riuscirci.
Da questo gioco delle parti ne esce un’umanità bonariamente egocentrica e, soprattutto, il ritratto fine e intelligente di donne del mondo dello spettacolo che abbracciano - con altrettanta intelligenza - un conflitto duro e aperto, controverso e sì, anche fieramente incoerente. Agli occhi di Ozon sono tutti vittime quanto carnefici, ognuno è colpevole e artefice del proprio destino e deve manipolare l’altro per raggiungere il suo obiettivo. Insomma, l’idea di Mon Crime, che suona come una boccata d’aria fresca, è di non cercare pietismo o puntare il dito, ma di mostrare la complessità di personaggi che per quanto apparentemente stereotipati degli obblighi e delle ‘maniere’ ne hanno piene le tasche.
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