Momenti di Trascurabile Felicità, la recensione
Dal paradiso rispedito in Terra per solo 90 minuti, il protagonista di Momenti di Trascurabile Felicità cerca di godersi ogni attimo, ma non è facile
Autoindulgente ma senza il fascino della faccia da schiaffi, dell’antieroe, del bastardo carismatico o dell’anticonformista, Paolo è un uomo remissivo che vive con mollezza i propri difetti, eppure il film lo guarda con tenerezza e simpatia. Quando all’inizio, con l’aria lenta e l’espressione fissa di Pif, afferma di passare sempre con il rosso in un certo incrocio perché tanto lo sa che quello è l’attimo giusto e un camion lo investe in pieno siamo già contenti, anche se lo conosciamo da meno di 5 minuti. Morto, finisce in paradiso, dove finirà di rivelarsi ai nostri occhi come l’uomo medio nell’accezione peggiore.
Momenti di Trascurabile Felicità (dal romanzo di Francesco Piccolo) non potrà essere salvato di certo da Pif, non da Renato Carpentieri (anche se per la prima volta, in questo ruolo di burocrate del paradiso la sua consueta teatralità non lo rende fuori luogo, anzi!) e nemmeno dall’incredibile grazia di Thony, un’attrice dall’espressività eccezionale che non necessita di recitare sopra le righe per dimostrarlo e che il cinema italiano è sempre sul punto di scoprire definitivamente ma la cui consacrazione è continuamente rimandata. Fosse stata lei la protagonista, quest’attrice che ha la rarissima caratteristica che più la si inquadra da vicino più regge, e Pif la spalla, il film almeno avrebbe avuto un’altra spinta, un’altra tensione! Nemmeno la sua presenza può giustificare un film così indulgente con il suo protagonista e quindi con se stesso, così apologetico da trasformare l’ossessione bambinesca per le piccole cose e i piccoli piaceri di Amélie Poulain in irritante infantilismo tollerato e in certi punti anche vagamente ammirato.