Moglie e Marito, la recensione
La commedia dello scambio dei corpi in Moglie e Marito diventa una cavalcata che non ha nessuno dei difetti del cinema italiano, anzi vive di grandi attori
La storia dello scambio di corpo tra moglie e marito è una delle mille possibili variazioni di un genere che, al cinema, nasce con Tutto Accadde un Venerdì a fine anni ‘70, non è nuovo né deve esserlo, è altro: è un classico. Moglie e Marito però ne fa una versione molto concentrata sul meccanismo e sull’esplorazione. Invece che dimenticare il motivo dello scambio lo esalta e ci lavora sopra, elevandolo da banale MacGuffin a centro nevralgico del senso del film. Come fa la fantascienza più moderna questa storia scritta da Giulia Steigerwalt ha un inconsueto interesse per il meccanismo: perché si sono scambiati? cosa è successo? “scientificamente” (virgolette d’obbligo) cosa gli sta accadendo? come ne potranno uscire?
Non stupisce che in questa terra di mezzo tra il divertito e il divertente sguazzi Pierfrancesco Favino che da sempre, anche nei ruoli più seri, ha dimostrato di avere un temperamento da commedia fantastico, forse tra i migliori in assoluto, dotato di tempi incredibili e di grandissima profondità di visione: far ridere per dire qualcosa. Stupisce semmai che Kasia Smutniak, in passato mai determinante in una commedia, tenga benissimo il passo del suo partner e anzi spesso dia l’impressione meglio di lui di avere dentro di sé Favino che si agita in un corpo smilzo e attraente che gli va strettissimo e lo costringe a mille diversi obblighi e doveri di cui non vuole nemmeno sentir parlare.
Addirittura anche quel po’ di tenerezza d’ordinanza, quel po’ di miele che sembra obbligatorio non è difficile da trascurare.
Moglie e Marito è in buona sostanza il trionfo del meccanismo della commedia, della buona scrittura, della direzione equilibrata e di un lavoro coordinato, preciso e ammirabile tra tutti i reparti. Un’opera che non si vergogna del proprio statuto, come spesso capita ai nostri film sempre presi da velleità fuori luogo, ma anzi ne è quasi esaltata, libera dai lacci del dover essere altro e a proprio agio tra il pubblico.