Mixtape - Una cassetta per te, la recensione

I consumi culturali cambiano le vite, modificano le persone e ne influenzano la costruzione dell'identità. Tutto giusto, ma allora perché Mixtape non va a fondo?

Critico e giornalista cinematografico


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Mixtape - Una cassetta per te, la recensione

La parte più strana di tutto Mixtape è l’età delle protagoniste, non adolescenti inquiete in cerca di ragazzi e struggenti amori, ma preadolescenti di diverse età e altezze, sviluppo e obiettivi. Più che un high school movie sembra un middle school movie.

Alla ricerca di informazioni sui propri genitori, morti entrambi giovani a pochi anni dalla sua nascita, la protagonista cresciuta con la nonna in un mondo di cose educate e per bene, golf fatti a maglia e buona maniere, entra in contatto con una cassetta contenente una compilation di canzoni registrate dai genitori, prova ad ascoltarla e questa si rompe. In tutto il film dovrà ricostruire quella playlist, brano per brano.

Siamo alla fine degli anni ‘90 e quindi i brani sono della fine degli anni ‘80 (almeno) e Mixtape è un period movie così pieno di nostalgia (da I guardiani della galassia la compilation su cassetta sembra tornata al centro dell'immaginario della nostalgia al cinema) da non riuscire a non fare l’apologia delle audiocassette e delle tecnologie dell’epoca, che non riesce a non sottolineare le diversità dal nostro presente, gli albori di internet, la difficoltà nel reperire informazioni e scoprire qualcosa. Soprattutto non riesce a cantarne le lodi, come se i personaggi avessero il senno di poi e l’idea che il presente che vivono è già passato. Ma ancora di più è un film sulla capacità dei consumi culturali di definire le persone. Tramite l’esplorazione dei gusti dei genitori (dei punk ultimo periodo) questa ragazzina tutta per bene inizia a fare amicizia con la teppista della scuola, fa partire un gruppo e diventa una ribelle all’acqua di rose. Si integra accettando una natura ai margini.

L’idea di Mixtape è sicuramente migliore della sua esecuzione, così innocua da finire quasi nel ridicolo. L’impostazione di qualcuno che ascoltando un altro tipo di musica inizia a capire i propri genitori, inizia a vivere in una maniera diversa, sviluppare diverse consapevolezze, inizia a cambiare la propria testa grazie a dei suoni, degli atteggiamenti e dei nuovi orizzonti aperti, di brano in brano scoperto, è fortissima. Peccato che poi il risultato sia sempre l'imitazione o la versione infantile e censurata di quelle sottoculture, e di gruppi come i Cheap Trick. Nulla della parte davvero perturbante, punk, ribelle seriamente viene presa in esame.

Le bambine diventano ribelli quasi involontarie e senza conseguenze reali, ribelli per inciampo e rispetto ad un contesto sempre per bene, accettabile e che non va mai davvero a questionare l’autorità, le regole e il sentire comune. Che è un esito incredibilmente conformista per un film che poi alla fine afferma come consumare un certo tipo di forme di cultura di massa sia indissolubilmente strettamente legato alla propria identità e visione di mondo. Sembra invece che alla fine a cambiare sia la superficie, i vestiti e il modo di parlare.

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