Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte Uno, la recensione

Il dittico Mission: Impossible - Dead Reckoning si apre qui con ampi richiami al primo film ma anche con un tono autunnale fantastico

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte Uno, il film con Tom Cruise in uscita in Italia il 13 luglio

Dalla prima parte di questa che dovrebbe essere l’ultima avventura di Ethan Hunt è evidente che l’obiettivo è la chiusura del cerchio e il richiamo in molti modi del primo film, se non proprio delle origini di tutta la vita avventurosa del protagonista. Lo vediamo proprio all’inizio con il classico messaggio che si autodistrugge che introduce la nuova missione, lo vediamo nei giochi di manipolazione che vengono dal film di De Palma come anche la scena d’azione sul tetto del treno e poi addirittura nel taglio di capelli di Tom Cruise, fino alla presentazione del villain. Tutto grida un ritorno alle basi dopo 7 film e i molti cambiamenti della saga, arrivata alla perfezione con Christopher McQuarrie. Mission: Impossible - Dead Reckoning Parte Uno non è il capitolo migliore della saga (la scrittura è più formulaica e densa di cliché del solito, i presupposti dell’intreccio sono anche più risibili della media) ma non importa niente. Niente. Questo è cinema pazzesco, il maggiore esempio contemporaneo di quell’ossimoro che è un “franchise adulto” e un'opera di eccezionale equilibrio e sorprendente umanità.

Con McQuarrie Mission: Impossible è diventato malinconico e Dead Reckoning inizia proprio con una colonna sonora mesta. Con essa introduce questa vita con poste in gioco immense, mercenari che agiscono per conto di governi ma che, visto quello che c’è in ballo in questo caso, fanno molta fatica a non prendere una parte. Al centro di tutto c’è l’Ethan Hunt a cui McQuarrie e Cruise sono arrivati dopo anni di evoluzione: un eroe d’azione ovviamente superomistico ma così mesto e così appesantito e ferito della vita che fa da aver smesso tempo fa di essere una figura desiderabile, anzi. L’obiettivo sembra sia non farci desiderare di essere lui. E stavolta è così fin dalla introduzione, dotata del sapore d’amor perduto, come se nelle vite private dei protagonisti tutto fosse già finito e andato male, e quindi non restasse che convivere con la fine delle illusioni. Non ci sono dubbi ormai che la collaborazione tra McQuarrie e Tom Cruise è una delle più importanti e cruciali della storia di Hollywood, vicina (per tipologia, non per grandezza) a quella ugualmente autunnale e malinconica tra Budd Boetticher e Randolph Scott.

Questa amarezza autunnale bellissima che sta nella musica, sta nelle dissolvenze e sta in certi incisi di espressioni o in momenti di debolezza è il contrappunto di tutto quello che accadrà. La sorpresa allora è che questa coerenza non contrasta con alcune delle sequenze d’azione più divertenti (nel senso stretto: capaci di mescolare risate e dinamismo) della saga. Quella dell’inseguimento in auto a Roma è un gioiello che mescola The Italian Job, una 500 che si muove come quella di Lupin disegnata da Miyazaki in Il castello di Cagliostro e giochi di rapidità, stupore e manette da Jackie Chan. Quella del volo in moto che poi diventa una lunga parte su un treno a vapore, ha una chiusa inventiva ed originalissima. Non sono solo scene d’azione, non sono solo gli stunt di Tom Cruise, sono momenti narrativi scritti benissimo che si svolgono in una caotica baraonda di eventi furiosi e veloci nei quali trionfa Hayley Atwell, il nuovo personaggio, che porta il divertimento, una strana forma di leggerezza e serve a farci capire quanto stia messo male Ethan Hunt.

Hayley Atwell non si oppone ma è complementare a Rebecca Ferguson, amor perduto di Hunt che qui torna. Il loro rapporto è raccontato senza mai usare le parole ma con poca recitazione, un grandissimo uso della musica (di nuovo) e un montaggio quieto che ogni tanto indugia più del dovuto su loro due, la maniera perfetta per evitare i soliti espedienti che riescono solo a rappresentare sentimenti di cartapesta, un tanto al chilo e uguali per tutti. Se a queste due si unisce poi la mercante di Vanessa Kirby, è evidente che nessuno oggi scriva personaggi femminili in film d’azione come Christopher McQuarrie, l’unico ad aver capito come fare a inserire in un genere che non ha mai previsto che le donne fossero centrali, dei caratteri diversi e dei personaggi davvero interessanti, che non stiano di lato e non debbano prendere il posto di quelli maschili ma possano costruire figure nuove. Loro.

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