The Missing (prima stagione): la recensione

La rivelazione The Missing: la serie antologica inglese è una delle sorprese dell'anno

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi

Spoiler Alert
"I've found something"

Definire The Missing come un semplice giallo su una scomparsa sarebbe riduttivo. La prima stagione della nuova serie BBC, in collaborazione con Starz, è una lunghissima istantanea che fotografa il degenerare dei rapporti e delle figure legate dalla sparizione di un bambino nella Francia del 2006. C'è sofferenza e tristezza, ma ciò che davvero è disturbante è il pessimismo che permea tutta la visione, che accomuna tutti i personaggi e che non lascia filtrare spiragli di luce. Una visione amara, difficile e dai ritmi lenti, sostenuta da un cast straordinario e da una regia e scrittura eleganti e curate, che si aggrapperà alla nostra gola e ai nostri occhi senza lasciarci andare anche dopo la conclusione.

Tony ed Emily Walsh (James Nesbitt e Frances O'Connor, grandissima prova di entrambi) sono una coppia inglese in vacanza nel nord della Francia che sarà costretta, a causa di un imprevisto, a fermarsi in un paese. Il clima è quello concitato dei mondiali di calcio, e anche nella comunità l'evento viene vissuto con grande attenzione e partecipazione. Ad un certo punto il figlio della coppia, il piccolo Ollie di appena cinque anni, svanisce nella folla. L'evento diventa da subito un piccolo caso per la stampa, coinvolge la polizia locale, ma anche esperti esterni e figure di spicco della comunità. Sappiamo però fin da subito che le ricerche non porteranno a nulla: la serie si apre nel nostro presente, con un Tony tutt'altro che arresosi all'evidenza dei fatti, ancora ossessionato dalla tragedia subita, deciso a far riaprire il caso nel momento in cui troverà una nuova pista da seguire.

Dal 2006 al 2014, e nel mezzo frustrazione, false speranze, ma soprattutto incapacità di elaborare il dolore e andare avanti (tema che ritorna quest'anno, dopo The Leftovers). A questo tema si richiama spessissimo la scrittura delle otto puntate, curata da Harry Williams e Jack Williams: un distillato di dolore, grigiume, autocommiserazione e accuse, ora velate ora più palesi, che accompagneranno noi e i protagonisti in questo viaggio. Il mistero alla base di tutto è presente e rimane il motore della vicenda, ma non è la destinazione principale (spesso le puntate si apriranno con una sequenza che apparentemente non ha nulla a che fare con la storia, e che solo in seguito si integra). Moltissime saranno le deviazioni in questo viaggio verso la verità, alcune talmente lontane da diventare parallele alla storia. Non tutto sarà importante, ma saranno pochi i momenti a lasciarci indifferenti.

La regia, firmata per tutti gli episodi da Tom Shankland, giocherà, insieme a tutto il resto, sui ritorni e sulle distorsioni tra passato e presente, che si accavallano, si aggrovigliano, si confondono, a volte identificati da qualche capello grigio in più, a volte da un tono più scuro nell'immagine. Uno stile che è anche una dichiarazione d'intenti per la serie, che non ci aiuta, che non ci garantisce l'arcobaleno alla fine del temporale, e soprattutto che a poco a poco, dopo averci sorretti, ci lascerà andare in un finale poco conciliante, che chiarisce dove necessario, ma che vive soprattutto nei vuoti lasciati volutamente tali. True Detective – ancora una volta un giallo, ancora una volta il gioco tra presente e passato – non era arrivato a tanto nel finale.

La serie antologica tornerà il prossimo anno con un nuovo caso. Fino a quel momento l'immagine finale della stagione che ci consegna The Missing sarà difficile da dimenticare.

Continua a leggere su BadTaste