Missing, la recensione

Con un'ottima detection, un gran ritmo e poverissimi dialoghi, Missing rimane uno dei migliori film in screencasting di questi anni

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Missing, il film in sala dal 9 marzo

Se pensate di aver già visto un film come Missing è perché probabilmente 5 anni fa avete visto Searching, che non solo è realizzato con la stessa tecnica, cioè lo screencasting (quando tutto quello che vediamo sono schermate di un computer e all’interno di esse viene raccontata la storia), ma ha anche una storia molto molto simile. I due film hanno il medesimo team dietro (tra cui Timur Bekmambetov come produttore, il quale già aveva realizzato un bel film in screencasting, Profile) e sono l’uno il sequel dell’altro, anche se poi le trame non sono collegate. E nonostante si faccia una certa fatica a collegarli, la produzione sostiene anche che esistano nel medesimo universo narrativo di Run. Siamo probabilmente davanti al più pigro, sfilacciato e sconosciuto degli universi narrativi.

In Missing è una figlia da poco maggiorenne a cercare tramite schermate di un computer la madre, partita per un viaggio con il nuovo amante e mai tornata. Entra in caselle mail, spulcia tra le posizioni GPS, guarda luoghi tramite livecam, fa tantissime chiamate (tutte videochiamate chiaramente) e scruta foto, fotogrammi o chat alla ricerca di indizi. Che ci siano delle forzature alla plausibilità in questa storia va detto subito, aiutano a fare in modo che tutto possa essere seguito tramite schermate di un computer (la più clamorosa è che ogni cosa importante si svolga davanti ad una webcam accesa). Tuttavia non sono più delle forzature che si trovano in un qualsiasi thriller americano e in un certo senso anche mascherate meglio.

In più Missing ha la forza di un’ottima presa e la capacità di battere tutto un percorso suo per arrivare ad una conclusione non impossibile da prevedere, e lo fa aiutato dall’espediente di messa in scena che regge tutto. In un buon finale fatto di grandi trovate ma anche di tutta una parte di azione della quale non sì sentiva l’esigenza, purtroppo scopriamo definitivamente che a fronte di diverse buone idee Missing è un film ingiustamente ordinario con i propri personaggi. Tanto è capace di essere preciso e minuzioso con la tecnologia (il villain per non essere beccato usa Duck Duck Go come motore di ricerca!) tanto poi è pigro con motivazioni, psicologie e dialoghi

Più in grande però questa storia, mal dialogata ma molto ben intrecciata nella sua detection, come tutte quelle in screencasting racconta un’altra cosa, una che non ha a che fare con le sparizioni e le ricerche, ma più con il commento alla maniera in cui abbiamo esperienza della realtà. Trovando indizi e scoprendo tramite internet vere identità di persone che nella vita vera avevano ingannato tutti, la protagonista scopre qualcosa su di sé, chi gli sta intorno e sul proprio passato. La verità della vita individuale è svelata dalla tecnologia.

Sarebbe semplice dire che la tecnologia è il custode dei nostri dati e uno strumento di menzogna, più interessante è sostenere come fa questo film che è il filtro attraverso il quale scoprire la vera realtà del mondo. La protagonista è costretta a guardare la propria vita e quella della madre scomparsa solo e unicamente attraverso le tracce tecnologiche, e quella prospettiva in sé racconta un’altra storia. Le varie tecnologie digitali (non solo internet ma anche le foto, i video e ciò che consentono gli smartphone) come le inquadrature dei film sanno mettere una lente di ingrandimento su certi aspetti, di fatto fornendo una diversa esperienza del mondo reale.

Continua a leggere su BadTaste