Misfits (quinta stagione): recensione
Termina tristemente, e senza ritornare agli ottimi livelli dei primi due anni, l'avventura dei disadattati e dei loro superpoteri
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L'impalcatura, già così fragile, della serie ha iniziato a scricchiolare fin dalla sofferta transizione dalla seconda alla terza stagione, quando il "mitico" Nathan veniva di fatto rimpiazzato dall'altrettanto sboccato Rudy. Nonostante Joseph Gilgun sia riuscito nell'impresa di non far rimpiangere troppo il personaggio di Robert Sheehan, qualcosa si era spezzato per sempre. La consapevolezza di trovarsi fra le mani una bomba tanto distruttiva quanto semplice da disinnescare, un soggetto di base tanto forte eppure così limitato, così poco sfruttato, l'incapacità assoluta di costruire un progetto a lungo termine. Il valore simbolico del temporale che, letteralmente, calava in uno scenario così inusuale delle facoltà sovrannaturali, portando allo scoperto tormenti, dilemmi giovanili, semplici speranze e illusioni di comuni antieroi aveva il fiato corto.
Troppe sarebbero le incoerenze e le assurdità da riportare per sottolineare l'ingenuità della "storia" raccontata. Negli ultimi due anni Misfits non ha costruito nulla, non è mai andato oltre la sua natura episodica, non è riuscito a farci affezionare ai suoi protagonisti, soprattutto ai due ultimissimi regular Alex (Matt Stokoe) e Abbey (Natasha O'Keeffe). L'idea, in qualche modo sempre nell'aria fin dall'inizio, di poter concludere tutto con la creazione di un vero gruppo di supereroi, è stata mal sfruttata, relegata a qualche pallido cliffhanger settimanale prontamente smentito dai due deludenti episodi conclusivi. L'impronta tipicamente britannica nel non dover necessariamente ridurre tutto ad una semplice morale, o all'insegnamento settimanale, condita con volgarità, trash e punte di delirio narrativo è stata mantenuta, ma si è anche accompagnata ad un senso di stanchezza generale salvato solo in parte da qualche "sparata" del solito Rudy o dal bel personaggio dell'ultimo probation worker, Greg.