Misfits (quinta stagione): recensione

Termina tristemente, e senza ritornare agli ottimi livelli dei primi due anni, l'avventura dei disadattati e dei loro superpoteri

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Lo scorso undici dicembre, nell'indifferenza generale, è finita l'avventura di Misfits: il triste e sfortunato epilogo dei disadattati più volgari e immorali della tv recente, che con le prime due stagioni dello show erano riusciti a conquistarci solo per poi disperdere questo patrimonio in una terza stagione tutto sommato accettabile e in due annate conclusive da dimenticare. Ci allontaniamo quindi per sempre dai tristi palazzoni grigi della periferia londinese, dalla parlata a tratti incomprensibile dei giovani condannati al servizio sociale, da quelle tute arancioni ormai così familiari, dai desideri di rivalsa di una generazione condannata fin dalla nascita e per la quale i superpoteri hanno rappresentato qualcosa di più di semplici capacità fuori dal normale.

L'impalcatura, già così fragile, della serie ha iniziato a scricchiolare fin dalla sofferta transizione dalla seconda alla terza stagione, quando il "mitico" Nathan veniva di fatto rimpiazzato dall'altrettanto sboccato Rudy. Nonostante Joseph Gilgun sia riuscito nell'impresa di non far rimpiangere troppo il personaggio di Robert Sheehan, qualcosa si era spezzato per sempre. La consapevolezza di trovarsi fra le mani una bomba tanto distruttiva quanto semplice da disinnescare, un soggetto di base tanto forte eppure così limitato, così poco sfruttato, l'incapacità assoluta di costruire un progetto a lungo termine. Il valore simbolico del temporale che, letteralmente, calava in uno scenario così inusuale delle facoltà sovrannaturali, portando allo scoperto tormenti, dilemmi giovanili, semplici speranze e illusioni di comuni antieroi aveva il fiato corto.

La terza stagione provò, in parte riuscendoci, a mettere una pezza, con la tormentata e triste storia d'amore fra Simon (Iwan Rheon) e Alisha (Antonia Thomas) e la complicata gestione dei viaggi temporali. Se tutto fosse effettivamente terminato con la terza stagione, il bilancio complessivo sarebbe stato decisamente più positivo. Ciò che invece si è creato è stata una sorta di Misfits 2.0, un reboot mascherato dello show, con l'allontanamento del personaggio di Kelly (Lauren Socha) e la morte di Curtis (Nathan Stewart-Jarrett), ultimi due protagonisti originali, e l'introduzione di Finn (Nathan McMullen) e Jess (Karla Crome), solo a tratti incisivi, solo dopo troppo tempo familiari. La quinta stagione dello show non si è allontanata troppo dai precari equilibri dell'annata precedente, sospesa sul filo di una vaga e mai troppo coerente trama orizzontale e la necessità di porre una linea sul finale di una storia mai troppo ragionata.

Troppe sarebbero le incoerenze e le assurdità da riportare per sottolineare l'ingenuità della "storia" raccontata. Negli ultimi due anni Misfits non ha costruito nulla, non è mai andato oltre la sua natura episodica, non è riuscito a farci affezionare ai suoi protagonisti, soprattutto ai due ultimissimi regular Alex (Matt Stokoe) e Abbey (Natasha O'Keeffe). L'idea, in qualche modo sempre nell'aria fin dall'inizio, di poter concludere tutto con la creazione di un vero gruppo di supereroi, è stata mal sfruttata, relegata a qualche pallido cliffhanger settimanale prontamente smentito dai due deludenti episodi conclusivi. L'impronta tipicamente britannica nel non dover necessariamente ridurre tutto ad una semplice morale, o all'insegnamento settimanale, condita con volgarità, trash e punte di delirio narrativo è stata mantenuta, ma si è anche accompagnata ad un senso di stanchezza generale salvato solo in parte da qualche "sparata" del solito Rudy o dal bel personaggio dell'ultimo probation worker, Greg.

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