Mirror's Edge Catalyst, la recensione

La silenziosa rivoluzione dei runner, quella più caotica di DICE: la recensione di Mirror’s Edge Catalyst

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La vera differenza tra l’originale Mirror's Edge e il suo reboot, non è da ricercarsi nella virata, comunque impattante e drastica, verso l’open world, quanto nei dettagli, in una netta presa di distanze, ludica e concettuale, in parte dovuta, dopo l’insuccesso commerciale patito nel 2008, in parte obbligata, da un trend globale che tuttavia non è forzatamente sinonimo di qualità.  Quell’esperimento in prima persona di tanti anni fa, sprizzava personalità e sperimentalismo da ogni poro. Non era un prodotto di facile lettura, immediato, main stream nel senso classico del termine. Era un intricato puzzle game, coerente con sé stesso sino alle estreme conseguenze, sino al proporci una protagonista volutamente alienante, apatica, specchio (e doppio) di un mondo la cui oppressione a qualsiasi forma di diversità andava scardinata anche a costo di rinunciare a quell’ordine tanto agognato da parte della nostra specie.

Criticato per la sua eccessiva linearità, il capolavoro DICE sapeva sbalordire a patto di guardare al di sotto della superficie, riflettente e abbagliante, dei grattacieli che componevano lo skyline privo di imperfezioni della metropoli in cui si consumava l’avventura. Là dove si scorgeva un secondo livello di lettura della trama, indiscutibilmente abbozzata e lacunosa, si insinuavano un mucchio di tematiche di grande interesse. Là dove il level design concedeva strade alternative al raggiungimento dello stesso traguardo, i migliori videogiocatori potevano sfidarsi in appassionanti time attack. Là dove Asia Argento, con la sua totale inabilità al doppiaggio, fortuitamente dava vita a una Faith credibile e tragicamente impassibile, si entrava in contatto con uno dei personaggi più amati degli ultimi anni.  Mirror's Edge Catalyst sul piano prettamente teorico, fa tutto ciò che servirebbe a una produzione tripla A per fare meglio, per proporsi con il giusto piglio al grande pubblico. Peccato che finisca per spezzare l’incantesimo, per distruggere la poesia che rendeva tanto speciale e unico il titolo di EA.

[caption id="attachment_157213" align="aligncenter" width="600"]Mirror's Edge Catalyst screenshot Completando i livelli si guadagnano punti esperienza. Tramite lo skill tree dedicato potrete migliorare le abilità di Faith o imparare nuove mosse per rendere ancora più semplice l’esplorazione di Glass City[/caption]

Faith, tanto per cominciare, ha una doppiatrice finalmente all’altezza della situazione, tristemente costretta ad impersonare la classica (e pedante) adolescente spigliata, agitata da un passato burrascoso, smaniosa di dimostrare il suo valore sul campo. L’incipit sfrutta un interessante stratagemma narrativo per giustificare il reboot e la necessità di riapprendere, da capo, come ci si comporta da runner, da agente di una cellula di ribelli che vogliono distruggere la KrugerSec: multinazionale che governa e regola ogni aspetto della società. La ragazza è difatti stata appena rilasciata dalla polizia, dopo aver scontato qualche anno di galera per i crimini commessi. È l’interessante prologo di un’avventura che purtroppo non convincerà mai del tutto, appesantita da personaggi stereotipati e da un intreccio che non centra mai il punto, diluendosi in fin troppe questioni irrisolte e flash-back confusi. Impossibile provare empatia per il borioso Icaro o per l’imperscrutabile Noah. Sono attori che recitano un copione prevedibile, costretti in parti che non concedono alcun guizzo, alcuna libertà. Non mancano tematiche tanto care al filone della distopia, qualche isolato monologo che pone interrogativi forti e accende riflessioni profonde, ma sono brevi istanti di luce, puntualmente infranti da qualche battuta fuori luogo di un’irriconoscibile Faith.

Purtroppo anche il gameplay si omologa, pur offrendo quella libertà di movimento che molti videogiocatori avrebbero tanto desiderato esperire anche nel prequel. Glass City è una metropoli di ragguardevoli dimensioni, tutta da esplorare andando a caccia di collezionabili di varia natura, missioni, incarichi secondari. A guidarci, altra rottura con il passato, non ci sarà più il flusso: affascinante concetto astratto che nel vecchio Mirror's Edge rendeva letteralmente visibile la strada da seguire. A supportarci ci penserà la tecnologica Visione del Runner che, a differenti livelli, avrà il compito di mostrarci il percorso per raggiungere il punto segnalato sulla mappa, quasi fosse un avveniristico navigatore. Il gameplay legato al parkour, fortunatamente, non è stato minimante intaccato. Correre sui muri, arrampicarsi, lanciarsi nel vuoto e scivolare sotto gli ostacoli, regala le stesse emozioni provate ben otto anni fa. Il sistema di controllo, semplice e preciso, permette di inanellare senza soluzione di continuità tutte le mosse necessarie a farci volare e scivolare tra i tetti e le costruzioni di Glass City. Con la pratica, diventando tutt’uno con l’avatar, ci si tolgono tante soddisfazioni, scoprendosi sempre più agili nello sfuggire alle forze dell’ordine che cercheranno in ogni modo di braccarci.

[caption id="attachment_157214" align="aligncenter" width="600"]Mirror's Edge Catalyst screenshot Non possiamo sopportare di ritrovarci una Faith così tanto diversa da quella che ci fece perdere la testa in Mirror's Edge[/caption]

Ad essere peggiorato, semmai, è proprio il combat system. Il feedback degli scontri corpo a corpo è insufficiente, ogni regolamento di conti si risolve in una disordinata e scoordinata pressione di tasti tutt’altro che appassionante. Molto meglio disfarsi degli avversarsi in corsa, magari piombandogli addosso dopo una breve corsa sul muro, ma purtroppo non sarà sempre possibile farlo. Anche il level design, piegato al paradigma del free roaming, mostra il fianco a qualche critica e rappresenta certamente l’aspetto più controverso di Mirror's Edge Catalyst. Il prezzo da pagare per l’agognata libertà di movimento e salatissimo, sia in termini puramente ludici che di coinvolgimento emotivo. La vecchia metropoli del primo Mirror's Edge era credibilmente priva di vita, uniformemente perfetta, razionalmente incastrata in schemi ingegneristici che la rendevano, per assurdo, inabitabile. Glass City cerca, in modo posticcio e goffo, di introdurre una scintilla di vita tra le sue strade, sporcando l’ambiente non solo con presenze umane assolutamente incoerenti, ma persino con sezioni che mal si incastrano le une con le altre.

Che qualcosa sia andato storto lo si nota soprattutto nel confrontare le sezioni al chiuso, con quelle all’aperto. La linearità delle prime, non a caso più consone al tipo di gameplay che vorrebbe veicolare la saga, ha permesso agli sviluppatori di concepire scenari in cui le ambizioni action si sposano armoniosamente con il substrato da puzzle game che ha tanto contraddistinto il prequel. Al contrario, in campo aperto, si tratta solo di trovare il sentiero più comodo (o breve, o facilmente individuabile), lasciandosi poi guidare (quasi) completamente dalla Visione del Runner. In breve, mentre l’attenzione e il divertimento del videogiocatore resta altissimo quando ci si muove tra stanze e corridoi, all’aperto capita spesso e volentieri di preferire lo spostamento rapido, all’ennesima traversata della città priva di sorprese e sezioni emozionanti.

[caption id="attachment_157215" align="aligncenter" width="600"]Mirror's Edge Catalyst screenshot Connessi alla rete potrete creare e partecipare a delle sfide a tempo create dai e per i vostri amici. Nulla di particolarmente complesso, ma si tratta di un piacevole passatempo[/caption]

Mirror's Edge Catalyst è un paradosso. Ci parla della lotta ad un regime che vede nella diversità un avversario naturale, ma abbraccia il conformismo nel vano tentativo di migliorare la saga. Così come la KrugerSec mira a spegnere qualsiasi forma di originalità, DICE, con l’introduzione delle meccaniche open world, con l’appiattimento del personaggio di Faith, con l’eliminazione del flusso come unico motore dei runner, ha forse reso la sua creature più mainstream, ma ne ha anche annientato buona parte di quella poesia che ci fece innamorare dell’IP anni fa. Questo reboot non è un brutto gioco. È un’esperienza particolare, meritevole di essere vissuta in prima persona (in tutti i sensi), ma è anche un’avventura imperfetta, caratterizzata da diversi momenti poco ispirati e tutt’altro che appassionanti.

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