Mirai, la recensione del film

Mirai è il quinto lungometraggio animato di Mamoru Hosoda

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Presentando Ponyo sulla scogliera, Hayao Miyazaki dichiarò di aver realizzato un film che i bambini avrebbero spiegato ai propri genitori, all'uscita dal cinema. Guardando Mirai, il quinto lungometraggio animato scritto e diretto da Mamoru Hosoda (Summer Wars, The Boy and the Beast), la sensazione è simile: ci è infatti capitato di vedere in sala giovani spettatori in età pre-scolare che anticipavano passaggi narrativi al pubblico adulto, avendoli intuiti più rapidamente.

Effettivamente, fin dalla sinossi e dal primo trailer, avevamo l'impressione che avremmo assistito a un racconto di formazione rivolto ai giovanissimi: il protagonista è Kun-chan, un bambino di quattro anni la cui vita viene sconvolta dalla nascita della sorellina minore, Mirai, che attira le attenzioni dei genitori e scatena in lui una forte gelosia. Un giorno, nel giardino di casa, appare davanti al bimbo una ragazza adolescente, che subito si rivela essere la sorella proveniente dal futuro. Inizia così un'avventura con la quale il giovane protagonista smusserà alcuni spigoli del suo carattere, finendo per empatizzare con gli altri membri della sua famiglia.

La trama ha una struttura più episodica di quanto ci si potrebbe aspettare, cosa che porta Kun-chan ad affrontare una serie di prove in contesti onirici e sovrannaturali. Purtroppo, però, questo percorso di evoluzione del personaggio procede a singhiozzo, con lezioni che lo fanno maturare e poi regredire nuovamente, mettendolo di fronte a situazioni simili e a tratti ridondanti. In questo processo ci sono momenti in cui il bambino risulta irritante sapientemente alternati con altri in cui suscita simpatia, grazie a una caratterizzazione equilibrata e realistica.

Mirai sembra essere la summa di tutte le tematiche messe in scena finora dal regista giapponese, a partire dai viaggi temporali, che aveva saputo sfruttare con estrema efficacia ne La Ragazza che Saltava nel Tempo. Se in Wolf Children aveva riflettuto sulla maternità e sulle difficoltà di essere genitore, qui Hosoda sembra voler confezionare il manuale del buon figlio e fratello maggiore, indirizzato ai bambini più piccoli. Il problema è che il film sembra non aver chiaro il suo pubblico di riferimento, sviluppando un apparente timore di scontentare gli spettatori più adulti e imbastendo una seconda metà più matura che risulterà probabilmente poco comprensibile ai perfetti destinatari della prima.

Mirai non è un film perfetto, ma riesce comunque a emozionare ed è senza dubbio una delle opere più interessanti della produzione nipponica di quest'anno. Le animazioni sono di alto livello tecnico e c'è una buona recitazione dei personaggi, ma l'impressione è che non venga mai raggiunto il trasporto emotivo o i virtuosismi visivi dei precedenti lavori del regista. In particolare, salta all'occhio una computer grafica invasiva e non sempre integrata al meglio con i disegni tradizionali. L'animazione digitale è stata però sfruttata efficacemente, e in modo volutamente grossolano, per dare vita a un personaggio inquietante, utilizzando poligoni che sembrano usciti dai primi videogiochi in 3D degli anni '90, al fine di creare un effetto disturbante.

Nonostante una qualità media altalenante, Hosoda si conferma uno dei registi di animazione giapponese più meritevoli d'attenzione, tanto che troviamo aspetti sorprendenti anche nelle sue opere meno riuscite (non è il caso di Mirai, che a livello qualitativo inseriremmo a metà della sua filmografia).

L'impressione è che l'elemento fantastico e la famiglia siano stati già sfruttati a sufficienza dall'autore, perciò sarebbe interessante per il suo prossimo lavoro vederlo all'opera con un brusco cambio di direzione, per quanto riguarda atmosfere e tematiche.

Mirai

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