Miracolo a S. Anna

Un gruppo di soldati afroamericani si ritrova dietro alle linee nemiche e deve cercare di sopravvivere. Spike Lee tenta la strada del filmone bellico, ma il risultato è un fallimento su tutta la linea...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloMiracolo a S. AnnaRegiaSpike LeeCast

Derek Luke, Michael Ealy, Laz Alonso, Omar Benson Miller, Pierfrancesco Favino,    Valentina Cervi, Matteo Sciabordi, John Turturro

Uscita3 ottobre 2008 

Certi film non sono semplicemente brutti. Non c'è nulla di male, infatti, a fallire con una pellicola, cosa che capita anche ai grandissimi. La cosa veramente grave è quando si realizza un film completamente sbagliato, dall'inizio alla fine. Miracolo a S. Anna è uno di questi casi, confermato dal fatto che il titolo non ha neanche senso, visto che l'eventuale miracolo non avviene certo in quella località.

I problemi sono già tutti visibili nella sceneggiatura, realizzata purtroppo dall'autore del romanzo originale James McBride, che evidentemente non ha ben chiare la differenza tra cinema e letteratura. Non è assolutamente tollerabile vedere certi flashback nei flashback sbagliatissimi, così come delle scene di dialogo che non portano avanti né l'azione né i rapporti tra i personaggi. E la struttura da Quarto potere, con il mistero sull'Uomo che dorme (la Rosebud di questo film), è assolutamente un fallimento, per il semplice fatto che la cornice moderna è pessima. Si passa da stereotipi noir con il personaggio del detective di John Turturro (quando si dice buttare al cesso un ottimo attore in un ruolo insignificante) ai toni camp di tante scene con il cronista, per non parlare della presenza di John Leguizamo, in uno dei cammei più assurdi mai visti negli ultimi tempi. Si arriva poi ad un finale copiato da un classico degli anni novanta e che non può funzionare assolutamente come l'originale, perché questi personaggi purtroppo non li abbiamo amati.

Purtroppo, tutta la parte storica del film non è certo molto superiore, anzi. I personaggi vanno avanti spesso a battutine e discorsi pseudopoetici falsissimi, mentre i momenti di tensione (come quello tra partigiani e americani) sono assolutamente poco credibili. E che dire dell'utilizzo di lingue diverse, che quasi sempre sembra un vezzo autoriale (perché il personaggio della Cervi, che definire monodimensionale sarebbe un complimento, dovrebbe parlare italiano con gli americani, dopo aver dimostrato di conoscere bene l'inglese?). In generale, si ha l'impressione che, nonostante le quasi due ore e mezzo di durata, non si sia riusciti a dire quello che si voleva.

In effetti, uno degli enormi problemi da imputare a Spike Lee, è proprio la lunghezza infinita e insopportabile del film. A tratti, mi veniva da pensare al King Kong di Jackson, in cui la parola montaggio era uscita dal vocabolario di quel regista. Peccato che Jackson comunque ci regalasse in quel caso momenti di grande cinema e comunque si fosse meritato quella libertà eccessiva grazie al lavoro straordinario svolto ne Il Signore degli Anelli. Qui evidentemente deve aver pesato il successo di Inside Man, ossia una pellicola furbetta e in cui francamente l'apporto di Lee dietro alla macchina da presa non era certo da storia del cinema. Personalmente, ho l'impressione che Spike Lee abbia lo stesso problema di Ken Loach (regista comunque più sincero e coerente, anche nei suoi fallimenti): grandi film raccontando piccole storie, mezzi disastri quando si parla della Storia con la S maiuscola. Chiaramente, Lee non è un regista epico e in grado di raccontare vicende così complesse in un quadro talmente variegato. Nulla di male, ma è per questo che il progetto sembrava anomalo fin dall'inizio. Peraltro, Lee non fa altro che rendere tutto enfatico, crogiolandosi nelle scene di massacro e con ralenti pessimi (la tazzina che cade di mano a Lo Cascio), mentre i toni che dovrebbero essere drammatici talvolta diventano involontariamente comici e fanno pensare alla ricostruzione della Corazzata Potemkin ad opera di Fantozzi e Filini. Per non parlare della Cervi con elmetto e sigaretta, che sembra uscito da Senso 45 di Tinto Brass (ma lì gli eccessi squallidi avevano una ragione d'essere). Comunque, almeno Lee si deve essere divertito parecchio a girare tra New York, e l'Italia.

Temo invece che non si stiano divertendo affatto i produttori italiani di questa pellicola, visto che non solo i risultati americani sono pessimi, ma che anche quelli nel nostro Paese difficilmente saranno soddisfacenti. Tuttavia, credo che sia anche il caso di fare mea culpa e per tanti motivi. In primis, i 45 milioni di budget francamente sullo schermo non si vedono, a parte una scena iniziale di combattimento (peraltro neanche troppo complessa). Poi, ci si chiede se di fronte ad un regista come Spike Lee bisogna mettersi in adorazione e lasciargli il film in mano, permettendogli di consegnare senza valido motivo una pellicola superiore alle due ore e mezzo, a cui sicuramente avrebbero fatto benissimo almeno trenta minuti di tagli. Ma, soprattutto, ci si chiede quale potrebbe essere l'interesse dello spettatore italiano verso un prodotto del genere. Se già il soggetto è tutt'altro che commerciale, i personaggi italiani minori sono quasi sempre delle macchiette in cui è impossibile identificarsi. E i protagonisti? Il bambino sembra uscito pari pari da La vita è bella (senza avere la grazia di quell'attore), mentre il mitico capo partigiano è un cretino che si fa fregare in maniera incredibile. Attenzione, non è questione di 'revisionismo' e di polemiche storiche, qui è una questione squisitamente cinematografica. Se mi descrivi un personaggio come una leggenda inafferrabile e poi lo vediamo compiere degli atti imbecilli, è impossibile non rimanere perplessi. Peraltro, con personaggi del genere, sarebbe anche ingiusto aspettarsi dei miracoli dai vari Pierfrancesco Favino, Valentina Cervi e Omero Antonutti. E infatti non li fanno.

Ora, in tutto questo, ovviamente di momenti interessanti ce ne sarebbero anche, ma poi vengono tutti prolungati all'infinito e diventano didascalici, perché per trenta secondi funzionano, ma per cinque minuti annoiano terribilmente. Un esempio? La propaganda radiofonica nazista, una bell'idea di partenza, ma alla fine gestita male. Mettiamoci anche delle musiche insopportabili di Terence Blanchard, che in certi momenti sono enfatiche (per fornire delle emozioni che il film non riesce ad esprimere da solo), mentre in altri fastidiosamente ironiche, e il quadro complessivo risulta quello di uno dei film più deludenti dell'anno, considerando che si potevano tirar fuori cose molto interessanti dalla storia.

A fine proiezione, una giornalista ha detto "si vede che è un film americano". Penso che volesse criticare una certa retorica e banalità, ma credo che se avesse aggiunto anche "il contributo italiano è evidente", non avrebbe sbagliato...

Continua a leggere su BadTaste