Miracle, la recensione

Una storia provinciale di piccole inefficienze e difficoltà diventa in Miracle un melò in cui la salvezza sta nei fantasmi e nel lavoro

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Miracle, al cinema dal 23 marzo

Feel good Corea. Il film che ha vinto il premio del pubblico al Far East Film Festival ed esce in sala questa settimana, Miracle, è cinema popolare sudcoreano, scaldacuore e rinsalda ideali. È Il sesto senso della bontà in cui in un paesino di provincia mal servito dalla rete ferroviaria, un ragazzo sogna che venga aperta una seconda stazione. Nel corso della storia a colpi di flashback scopriamo come mai questo sia così importante per lui, cosa sia successo nel passato, che traumi esistano e cosa possa significare superarli. 

Questa struttura è la cosa più interessante di tutto il film, un continuo di scoperte che ci fanno rivivere il medesimo evento (un traumatico passaggio di un treno) da punti di vista diversi, svelando snodi sentimentali melò differenti, sensi di colpa e pesi portati addosso per anni che hanno influenzato in modi che comprendiamo solo a quel punto la storia a cui stiamo assistendo. Così uno spunto all’inglese (un piccolo obiettivo da raggiungere per una comunità molto provinciale che è in realtà una grande impresa umana per le persone coinvolte) diventa invece una storia di etica personale, spirito nazionale coreano e paradossale fiducia nelle strutture del sistema.

Il cinema sudcoreano ha una dedizione ai generi che gli altri non conoscono e anche in un film popolare come questo spinge sul melò (in questa che rimane una commedia romantica) più di quanto non si farebbe altrove oggi. Ci sono morti che pesano tantissimo e responsabilità pesanti, padri e figli che si perdonano torti e rancori non detti attraverso la costruzione di questa ferrovia, attraverso il trionfo degli studi e la dedizione al lavoro, tutto all’insegna di una grandissima fiducia nelle istituzioni e nelle gerarchie sociali. Qualcosa che a noi (e anche al cinema americano contemporaneo) è sconosciuta.

C’è in Miracle una fusione totale tra l’idea di società come aggregato di poche persone (il paesino di provincia), l’idea di società come stato (la possibilità per il protagonista di diventare qualcuno applicandosi attraverso opportunità fornite a livello nazionale) e poi le vite personali (un fantasma sempre presente che di fatto aiuta padre e figlio a comprendersi), che si può trovare solo nel cinema asiatico. Non è nazionalismo come siamo abituati a concepirlo ma il più semplice immaginarsi effettivamente come parte di un sistema in cui i buchi e le inefficienze esistono ma sono eccezioni rispetto alle opportunità.

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