Miracle, la recensione
Una storia provinciale di piccole inefficienze e difficoltà diventa in Miracle un melò in cui la salvezza sta nei fantasmi e nel lavoro
La recensione di Miracle, al cinema dal 23 marzo
Questa struttura è la cosa più interessante di tutto il film, un continuo di scoperte che ci fanno rivivere il medesimo evento (un traumatico passaggio di un treno) da punti di vista diversi, svelando snodi sentimentali melò differenti, sensi di colpa e pesi portati addosso per anni che hanno influenzato in modi che comprendiamo solo a quel punto la storia a cui stiamo assistendo. Così uno spunto all’inglese (un piccolo obiettivo da raggiungere per una comunità molto provinciale che è in realtà una grande impresa umana per le persone coinvolte) diventa invece una storia di etica personale, spirito nazionale coreano e paradossale fiducia nelle strutture del sistema.
C’è in Miracle una fusione totale tra l’idea di società come aggregato di poche persone (il paesino di provincia), l’idea di società come stato (la possibilità per il protagonista di diventare qualcuno applicandosi attraverso opportunità fornite a livello nazionale) e poi le vite personali (un fantasma sempre presente che di fatto aiuta padre e figlio a comprendersi), che si può trovare solo nel cinema asiatico. Non è nazionalismo come siamo abituati a concepirlo ma il più semplice immaginarsi effettivamente come parte di un sistema in cui i buchi e le inefficienze esistono ma sono eccezioni rispetto alle opportunità.
Sei d'accordo con la nostra recensione di Miracle? Scrivicelo nei commenti