A Million Miles Away, la recensione

Classica epica del sogno americano e della conquista dello Spazio, A Million Miles Away ingloba il suo protagonista messicano nello spirito dominante della Nazione

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La nostra recensione di A Million Miles Away, dal 15 settembre su Prime Video

Le riconoscibili note di California Dreamin’ apronoA Million Miles Away su immagini di piantagioni, ma bastano pochi secondi per capire che si tratta in verità della versione spagnola della celebre canzone dei Mamas & the Papas. Sta, in fondo, tutta qui l'operazione del film, storia del primo astronauta messicano nello Spazio. Un biopic pregno dell'epica del sogno americano, che, seppur connotata dal background del suo protagonista, viene riproposta in tutto il suo splendore.

Membro di una famiglia di contadini, da piccolo José Hernandez (Michael Peña) si sposta dal villaggio rurale di Michoacan, in Messico, ai campi della San Joaquin Valley (California). Qui comincia a frequentare la scuola, facendosi notare per la sua notevole intelligenza. Grazie all'appoggio dei genitori, riesce a continuare gli studi e a entrare nel Lawrence Livermore National Lab, ma il suo sogno resta quello di andare nello Spazio. Così, fa domanda per entrare alla Nasa; dopo undici rifiuti, finalmente riesce ad essere ammesso.

A Million Miles Away racconta dunque la storia di un ragazzo tenace che non vuole rinunciare ai suoi sogni, un self made man che riesce a sfondare nonostante le difficoltà. Dando ampio spazio alla sua famiglia, fa emergere la difficile vita degli immigrati ispanici, costretti a un duro lavoro nei campi per sostenere i propri figli. "Chi meglio di un migrante che si butta nell'ignoto può essere in grado di lasciare questo Pianeta?" dirà a un certo punto il fratello di Josè, rimarcando il sostrato della loro gente e risollevando l'animo di quest'ultimo, abbattuto dai mille ostacoli a cui sta andando incontro (la diffidenza dei suoi capi, l'essere scambiato per l'addetto alle pulizie…). Ma dal film non emerge nessun punto di vista critico sugli Stati Uniti, né una "versione ispanica" della storia, perché lo spirito che lo anima è perfettamente aderente a quello dominante.

In una scena apparentemente marginale, ma perfettamente simbolica, Josè rifiuta le enchilada che la madre gli offre come pranzo in ufficio, per non essere "l'unico tra i colleghi", tutti autoctoni, a mangiarli. In quella successiva, lo vediamo allora cibarsi con un semplice sandwich, come gli altri seduti vicino a lui. Così, le peculiarità del protagonista e della storia vengono totalmente annacquate, assimilandola a tante altri già viste sullo schermo. Alla sua base troviamo una piatta caratterizzazione di tutti gli altri personaggi, tra genitori affidabili e premurosi e una moglie devota (Rosa Salazar). L'assoluta meccanicità dello svolgimento, che propone tutte le tappe ampiamente prevedibili del genere, senza un minimo scarto, un minimo sussulto nella regia o nelle interpretazioni. E di conseguenza a trionfare sono i toni ottimisti e patriottici della conquista dello Spazio, veicolati da passaggi come una "presentazione degli astronauti" che cita direttamente quella iconica di Armageddon. Un modello che ormai sembrava superato.

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