Millennium - Uomini che odiano le donne, la recensione

Importato, adattato, rifatto e reinterpretato, il primo capitolo della saga di Stieg Larsson subisce il trattamento hollywoodiano e ne esce con sufficienza...

Critico e giornalista cinematografico


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Se non si è già amanti della trilogia letteraria il primo adattamento fatto dai romanzi di Larsson, quello svedese per intenderci, era insostenibile. Non sfruttava gli spunti lasciati dalla storia e la metteva in scena come un giallo Mondadori.

David Fincher, sebbene ricalchi quella trama in maniera quasi identica (cioè tagliando quel che della storia era stato tagliato da quel film e tenendo quel che era stato tenuto), imprime un altro passo, altri volti e un'altra idea di cinema alla storia di lenta scoperta di un omicidio avvenuto anni prima. Eppure sembra sempre lontano.

L'impressione che si ha uscendo dal cinema dopo aver vistoMillennium - Uomini che odiano le donne, è di aver visto un buon film di cui al regista importava poco. Fincher sembra avere sempre la testa da un'altra parte mentre mette in scena le peripezie di Lisbeth e Mikael Blomkvist.

Tutto si svolge linearmente e l'intreccio è chiaramente ben raccontato, addirittura mostrato con qualche guizzo, ma per l'appunto i momenti più significativi sembrano essere quelli totalmente estranei alla trama in senso stretto, cioè allo svolgersi degli eventi inerenti alla scoperta dell'assassino. Di tutto quel sottile piacere di raccontare un meccanismo ad orologeria, uno scontro di intelligenze, una lenta scoperta, una tenace lotta per raggiungere un obiettivo non c'è traccia.

I suoi due detective (davvero ben interpretati, specie il Blomkvist di Daniel Craig, equilibratissimo), sono privi di verve o di un approccio particolare al loro compito e brillano di interesse (come del resto la fantasia del regista) solo quando fanno altro. E' il caso della scena della violenza sessuale subita da Lisbeth, musicata dal solito Trent Reznor a partire dal rumore di un aspirapolvere da ufficio che lentamente diventa musica ossessiva per la violenza in corso, o dei momenti iniziali, quando Blomkvist vede crollare la sua credibilità professionale o ancora di quel contrasto di corpi nello spazio indifferente della metro durante lo scippo. Il resto è davvero accademia, cinema ben fatto ma senza passione.

Menzione speciale per i titoli di testa, un vero videoclip. Ma dei migliori. Un incubo di corpi, melassa nera e prese USB.

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