I migliori giorni, la recensione

Film in 4 episodi tutto sull'ipocrisia, declinata in situazioni e contesti diversi, I migliori giorni si perde nelle sue ambizioni

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di I migliori giorni in uscita in sala il 1° gennaio

Esiste un nuovo segmento di commedie italiane che ha i suoi principali esponenti in Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo (due attori che da anni sono anche registi e sceneggiatori di alcuni dei loro film), un tipo di commedie che vogliono essere popolari, con attori popolari, trame popolari, personaggi popolari e tutto quello che di commerciale si può voler fare, ma con un fattore di riflessione sulla società e in certi casi e di serietà dei temi trattati in altri molto superiore alla media. Commedie sì, ma con cose da dire (si pensi a Viva l’Italia o a Che vuoi che sia). Fino ad ora questo segmento particolare non ha riservato sorprese, né tantomeno film davvero interessanti da ascoltare (figuriamoci di divertenti da vedere!), ma I migliori giorni imposta un nuovo standard.

Film in 4 episodi diretto da Bruno e Leo (due per uno), I migliori giorni utilizza quattro feste comandate (Natale, Capodanno, San Valentino e l’8 marzo) come ambientazione per parlare dell’ipocrisia nella nostra società: l’ipocrisia dei rapporti famigliari in un caso, quella del potere che si professa dalla parte dei bisognosi in un altro, quella dei legami sentimentali convenzionali e infine quella della società nei confronti della posizione della donna. Tuttavia è difficile davvero parlare di questi temi e farlo con ironia (in certi casi, in altri no) con questa scrittura.

Questo è un film pieno di attori (c'è mezzo cinema italiano), i cui episodi sono scritti e diretti da attori o con attori (Leo scrive come sempre con Marco Bonini, Bruno cambia team tra segmento e segmento) in cui sorprendentemente nessuno recita in maniera davvero convincente nonostante tutto sia organizzato intorno a monologhi o lunghe tirate, nonostante tutto sia pensato intorno alla recitazione!

Fin dal primo segmento, ambientato a Natale, in cui viene riesumato un classico della commedia classica (la cena importante a cui viene il capo davanti al quale non bisogna sfigurare per ottenere l’agognata promozione), a trionfare è il “sentenzismo”, cioè l’amore appassionato per le frasi eclatanti e le sentenze. “Ci siamo incattiviti” detto guardando nel vuoto, “Aveva ragione Monica Vitti” più citazione... ma anche il continuo ripetere il termine “ipocrisia”, sovrapresente nei dialoghi insieme alla frase “La vuoi sapere la verità?”, sono tutti espedienti che annullano ogni forma di ragionamento che invece il film vorrebbe stimolare con i suoi intrecci fatti di maschere che cadono, apparente cambiamento della situazione e ritorno all’equilibrio ipocrita prima della fine.

Solo che se nella parte familiare che vorrebbe essere farsa quest'ultima non arriva mai (non c’è la capacità di sfruttare quel meccanismo per gag efficaci), in quella di satira del potere non c’è mai vera cattiveria, in quella sui rapporti sentimentali ci dovrebbe essere grande appeal sessuale che tuttavia non sentiamo mai e infine in quella, allucinante, sulla posizione della donna c’è un uso strumentale della speranza nei "giovanichesonoilnostrofuturo", alla fine ciò che emerge chiaramente è soltanto che I migliori giorni è un film con un’idea molto povera di cosa il cinema possa essere o fare.

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