Il migliore dei mondi, la recensione
Nella storia di un uomo in un universo in cui la tecnologia si è fermata nel 1999 Il migliore dei mondi trova un'idea complicata di nostalgia
La recensione di Il migliore dei mondi, disponibile su Prime Video dal 17 novembre
Il migliore dei mondi, il suo terzo film, mette insieme tutto questo. È la storia di un uomo che fa una vita piena di tecnologia che a un certo punto si ritrova catapultato in un presente alternativo nel quale la tecnologia è rimasta quella del 1999 (perché il millennium bug è avvenuto come si temeva e il mondo ha deciso di bloccare l’avanzamento tecnologico). È un film di Maccio Capatonda e quindi, come sempre, ha una maniera molto intelligente di essere scemo (è anche scritto e stavolta pure diretto dai suoi collaboratori abituali Danilo Carlani e Alessio Dogana). Il suo spunto molto spiccio che costringe una persona moderna a essere messa a contatto con un complesso di tecnologie oggi antiquate, quelle nelle quali gli altri vedono possibilità e invece lui vede limiti, è una maniera per fomentare una storia d’amore, ma anche un modo, a un certo punto per parlare di tecnologia in sé.
Mentre per il resto della sua durata poteva sembrare che questa volta Maccio Capatonda volesse fare nostalgia, come tutti gli autori di commedie in Italia, a un certo punto il film smette di rimandare ai ricordi o al vero mondo di fine anni ‘90 e comincia a parlare proprio di internet. Lo aveva già suggerito con la presenza di talent dell’internet italiano (Luca Vecchi, Federica Cacciola, Stefano Rapone…), creando un contrasto non male tra immaginario del cinema (Ritorno al futuro più volte citato) e immagini della rete (di cui Maccio stesso è un pezzo importantissimo), ma in tutta la sua terza parte si apre a un’altra complessità e cancella qualsiasi possibilità di facile nostalgia. Sempre in maniera completamente idiota, ma molto intelligente.