Il migliore dei mondi, la recensione

Nella storia di un uomo in un universo in cui la tecnologia si è fermata nel 1999 Il migliore dei mondi trova un'idea complicata di nostalgia

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il migliore dei mondi, disponibile su Prime Video dal 17 novembre

Non si sbaglierebbe a sostenere che in Italia esista un solo vero autore mainstream che possa essere definito postmoderno e che questo sia Maccio Capatonda (arrivato tipo 30 anni dopo l’esplosione del postmoderno). Fin dall’inizio della sua carriera Capatonda ha sempre inteso le sue immagini non come il simulacro di qualcosa di reale ma come un rimando per altre immagini ancora (quelle di altri film come quelle di altri trailer), ha sempre forzato le connessioni logiche interne alle trame che siamo abituati a fare con i film per finalità comiche (come fanno le parodie ma senza fare parodie nel senso stretto del termine) e così facendo ha sempre riflettuto sulla natura dei mezzi per i quali produceva, per quanto poi non si sia mai trattato di riflessioni di incredibile complessità.

Il migliore dei mondi, il suo terzo film, mette insieme tutto questo. È la storia di un uomo che fa una vita piena di tecnologia che a un certo punto si ritrova catapultato in un presente alternativo nel quale la tecnologia è rimasta quella del 1999 (perché il millennium bug è avvenuto come si temeva e il mondo ha deciso di bloccare l’avanzamento tecnologico). È un film di Maccio Capatonda e quindi, come sempre, ha una maniera molto intelligente di essere scemo (è anche scritto e stavolta pure diretto dai suoi collaboratori abituali Danilo Carlani e Alessio Dogana). Il suo spunto molto spiccio che costringe una persona moderna a essere messa a contatto con un complesso di tecnologie oggi antiquate, quelle nelle quali gli altri vedono possibilità e invece lui vede limiti, è una maniera per fomentare una storia d’amore, ma anche un modo, a un certo punto per parlare di tecnologia in sé.

Verso la fine del film entra in gioco un personaggio che è meglio non rivelare, un grande nome internazionale che con una trovata molto intelligente ma anche completamente idiota vive in Italia, e comincia a essere chiaro che Il migliore dei mondi non sia assolutamente quello in cui è finito il protagonista. Nonostante lì abbia trovato l’amore che aveva rifiutato nel suo di mondo. E il film, che è il più quieto e il più “normalizzato” tra quelli di Maccio Capatonda, comincia a cambiare.

Mentre per il resto della sua durata poteva sembrare che questa volta Maccio Capatonda volesse fare nostalgia, come tutti gli autori di commedie in Italia, a un certo punto il film smette di rimandare ai ricordi o al vero mondo di fine anni ‘90 e comincia a parlare proprio di internet. Lo aveva già suggerito con la presenza di talent dell’internet italiano (Luca Vecchi, Federica Cacciola, Stefano Rapone…), creando un contrasto non male tra immaginario del cinema (Ritorno al futuro più volte citato) e immagini della rete (di cui Maccio stesso è un pezzo importantissimo), ma in tutta la sua terza parte si apre a un’altra complessità e cancella qualsiasi possibilità di facile nostalgia. Sempre in maniera completamente idiota, ma molto intelligente.

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