Midway, la recensione

La nostra recensione di Midway, il film di Roland Emmerich che vorrebbe essere un grande film di guerra ma non riesce

Critico e giornalista cinematografico


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MIDWAY, DI ROLAND EMMERICH: LA RECENSIONE

Alla fine di Midway neppure una casella della lista dei luoghi comuni da toccare in un film di guerra banale rimarrà senza spunta. Dai superiori che non credono agli ufficiali dall’intuito geniale, alle reclute con una morale di ferro fiere di morire per non tradire i propri amici, al pilota insofferente all’autorità ma dannatamente in gamba, fino al colonnello di ferro che nasconde un cuore dietro le sue poche parole.

L’idea sembra quella di prendere elementi dal cinema di guerra classico americano come anche da quello edonista di guerra fredda, l’eccitazione di Top Gun e l’affresco di Berretti Verdi, unito al Bayhem di Pearl Harbour. Ma non c’è quel design pazzesco di Tony Scott (né il suo montaggio delle sequenze aeree), non c’è la potenza incredibile delle immagini Michael Bay o ancora il rigore del cinema di guerra di una volta. Midway non mostra mai di possedere la capacità né di intrattenere con il dinamismo né di creare immagini capaci di attirare, calamitare, tenere seduti e raccontare. Il racconto dell’omonima battaglia della Seconda Guerra Mondiale è un viaggio a senso unico nella celebrazione.

In un trionfo di retorica sul cuore dei soldati e lo spirito combattivo sempre individualista, anche quando si parla dell’equipaggio di una portaerei, in cui anche un asso come Woody Harrelson sembra recitare come fosse in vacanza, assistiamo a una tragedia di piani d’ascolto e un inferno di inflessioni! Il vero peccato di Midway è di non riuscire nemmeno a creare con stile la mitologia trita del soldato audace che cavalca. Perché per arrivare almeno a quello dovrebbe avere decisamente più equilibrio e un’architettura molto più rigorosa. Ogni genere o sottogenere e anche ogni tono richiede molta precisione per essere raggiunto. Precisione e rigore sono invece esattamente quello che manca a questo film che cola da tutte le parti.

Quando a quello che dovrebbe essere il culmine uno dei protagonisti sgancia la sua bomba al grido di “Questo è per Pearl Harbour”, con tanto di esplosione dietro il suo aereo e la musica che sale, ad essere messa in scena è la velleità di fare un cinema molto vecchio e la difficoltà nel farlo bene davvero.

Che poi Roland Emmerich abbia anche voluto prevedere un attore che interpreti John Ford, senza nessun legame con la trama, ma solo come nota di colore (storicamente accurata) per fare un omaggio a un modello, suona al limite del sacrilego.

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