Middlewest vol. 1, la recensione
Tra steampunk e fantasy, Middlewest esordisce con un primo volume appassionante che ci lascia con l'acquolina in bocca
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
C'è un gran vento, nel Middlewest. Un vento talmente forte e fastidioso che, quando soffia sui campi di mais e sui boschi, sulle fattorie e sui paesini che punteggiano le colline, sembra che in realtà ti soffi addosso e che ce l'abbia con te. Il vento è rabbioso. Almeno, questa è la sensazione che ha Abel ogni volta che se lo sente sulla pelle. Ma questo ragazzino magro-magro non ha proprio una vita semplice, e la rabbia è qualcosa che fa parte della sua quotidianità. Un po' perché crescere senza la mamma, che ti ha lasciato solo con papà, non è facile per nulla. Un po' perché crescere con un papà sempre arrabbiato, che non sorride mai, che pare voglia solo fartela pagare, è anche più difficile.
Non è niente di troppo originale, questa fiaba avventurosa e fortemente postmoderna, ma il primo volume BAO Publishing di Middlewest è davvero una lettura soddisfacente. A tratti, entusiasmante per chi apprezza le storie di questo genere: un percorso di formazione di un protagonista molto giovane, tanti temi psicologici tipici dell'infanzia, sia scoperti che allegorici, un mondo non nuovo ma ben congegnato attorno, fatto di personaggi bizzarri e affascinanti. Frutto della fantasia di Skottie Young, che certamente si trova a proprio agio con le atmosfere fiabesche, come dimostrato dal suo Odio Favolandia, qui dosate con sapienza anche maggiore e mescolate appunto all'estetica steampunk, nonché a quella rurale del cuore degli Stati Uniti.
Non serve essere stati nell'Illinois o nell'Indiana, nell'Arkansas o nel West Viginia per respirare aria di provincia contadina, di casette di legno con le assi sconnesse e vita povera e semplice in questa storia. Si sentono, si sovrappongono a un'epoca non realistica, tipica del fantasy, ai personaggi un po' sospesi tra magia e fantascienza retro, ai topoi narrativi classici dell'avventura giovanile. Leggendo il primo volume di Middlewest non siamo riusciti a non pensare a Big Fish, il film di Tim Burton. Probabilmente è a quel tipo di immaginario, spurio e frutto della mescolanza di tanti riferimenti culturali e narrativi a cui puntava Young. Obiettivo raggiunto pienamente.
Anche grazie alle matite di Jorge Corona. L'artista venezuelano è chiaramente vicino allo sceneggiatore dal punto di vista artistico, anche se meno caricaturale. Ci pare un ottimo compromesso tra lo stile di Young e quello di un Humberto Ramos. E, come tale, una scelta perfetta per tradurre in immagini questa storia che parla di un ragazzino confuso e arrabbiato, e gli costruisce attorno un mondo le cui regole sono ancora tutte da scoprire. O da inventare, forse. Ci si augura soprattutto la seconda. Inoltre, Corona è chiaramente innamorato del progetto, alla luce della gran quantità di dettagli che le sue tavole ci propongono. Gli ambienti in cui si muove Abel sono ricchi, carichi, colorati, d'impatto e particolareggiati, ma le matite rimangono fluide e scorrevoli. Proprio ciò di cui c'era bisogno in una vicenda come questa.
Il resto è il gioco divertente di una fiaba postmoderna, fatta di mostri e di sentieri, di temi atavici e archetipici declinati in un mondo fantastico, di robot saccenti che discutono con volpi dalla lingua altrettanto tagliente, di famiglie con cui si nasce e famiglie che ci si sceglie, di coraggio di affrontare il futuro giustapposto alla paura di fare i conti con il passato.
Come dicevamo, nulla che non abbiamo già visto, ma qualcosa che Young e Corona ci presentano in una veste davvero splendida e in una trama che sembra avere non solo tanto cuore, ma anche ritmo ed equilibrio. Un ottimo esordio quindi, che ci lascia con la speranza di venire sorpresi, perché l'unico rischio che per ora corre Middlewest è proprio questo: essere prevedibili. Lo scopriremo nel corso di una lettura che, per ora, ci lascia con l'acquolina in bocca.