Miami Vice
I poliziotti Sonny Crockett e Ricardo Tubbs devono infiltrarsi in un traffico di droga, condotto dall’affascinante Isabella. Michael Mann torna ai suoi livelli migliori, mentre i protagonisti sprigionano fascino da tutti i pori...
Miami Vice non cerca di essere cool e intelligente. A differenza di tanti prodotti presuntuosi e banali, Miami Vice è cool e intelligente, ma in maniera completamente naturale. Una volta che si fanno le scelte giuste, sia in termini di cast, di storia e di tecnici, allora l’importante è proseguire coerentemente. E Mann lo fa senza esitazioni, anche a costo di rischiare qualcosa al botteghino, considerando che di azione e di spettacolo cafone (caratteristiche che vanno per la maggiore attualmente) ne vediamo poco (a tal punto che non ci sono neanche dei titoli di testa esplosivi, come sarebbe stato prevedibile). Anche gli eventi peggiori avvengono in maniera agghiacciante e senza enfasi. Penso ad una scena di massacro girata in slow motion che non ha nulla da invidiare al John Woo degli anni ottanta. O ad una morte atroce per i protagonisti, ma praticamente invisibile per lo spettatore.
E vogliamo parlare della fotografia di Dion Beebe (premio Oscar per Memorie di una Geisha)? Solo la visione incredibile del porto di Miami virato in blu merita una nomination.
Anche gli attori sono fantastici. Colin Farrell ha uno sguardo sperduto perfetto per delineare il suo personaggio. Gong Li evita accuratamente gli stereotipi della dark lady (fate attenzione a chi la definisce così, non ha capito nulla di noir). Purtroppo risulta un po’ sacrificato Jamie Foxx, che deve portare avanti un personaggio con una storia non troppo interessante.
Ma è decisamente il caso di parlare dei comprimari, che sono essenziali per il lavoro dei protagonisti. E’ bello vedere che in piccoli ruoli si possono trovare interpreti come Ciarán Hinds (era Giulio Cesare nella miniserie della HBO Roma) e John Hawkes (protagonista di Deadwood e Me and You and Everyone We Know), che offrono lampi della loro classe.
E poi, anche grazie ad un’ottima direzione degli attori, gli interpreti preferiscono giustamente esprimersi con il loro corpo (fate attenzione a quanto sono importanti le dita) piuttosto che con le parole.
Per carità, ci sono delle piccole cadute di tono, come qualche dialogo troppo solare tra Colin Farrell e Gong Li (in una storia che non conquista come forse avrebbero voluto gli autori) o un’esplosione palesemente finta. Di certo, la storia non è originalissima (ma su questo il trailer ci aveva preparati) e forse una decina di minuti in meno avrebbe giovato.