Mia moglie è un fantasma, la recensione

Edward Hall fa tanti piccoli passi per non imboccare nessuna strada, rimanendo in un limbo creativo che è peggio di qualsiasi scelta sbagliata ma perseguita fino in fondo.

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Mia moglie è un fantasma, la recensione

È con sprint cartoonesco e un twist femminista che Edward Hall, al suo esordio cinematografico, prova nell’arduo compito di attualizzare e fare propria la famosa pièce Spirito allegro di Noel Coward, da cui già David Lean trasse il suo adattamento nel 1945. Edward Hall, tuttavia, sebbene sia un uomo di teatro (quello shakespeariano soprattutto) ha grandissime difficoltà nel maneggiare la commedia brillante, l’ironia tagliente e i personaggi acidamente divertenti che hanno reso Coward un commediografo da libri di storia. Mia moglie è un fantasma nel suo essere un adattamento del XXI secolo ma irremovibile nel suo amore per l’originale ne viene allora fuori come un remake plasticoso e pazzoide di un precedente già datato; un tentativo di essere moderno a tutti i costi (nelle premesse, nella veste estetica) e che invece si siede o su vecchie idee o su svolte puramente no-sense.

La sceneggiatura, riscritta da Piers Ashworth, Meg Leonard e Nick Moorcroft oltre ad accelerare il ritmo si distingue dall’originale nella scelta di rendere il protagonista un loser a tutti i costi. Da scrittore di romanzi gialli, nella versione di Hall il protagonista Charles Condomine (Dan Stevens) diventa uno sceneggiatore alle prese con il suo primo adattamento cinematografico e il blocco dello scrittore. Charles deve consegnare il lavoro al padre di sua moglie Ruth (Isla Fisher), il quale è a capo di una casa di produzione. Data la forte pressione, per trovare ispirazione nella scrittura chiede alla sensitiva Madame Arcati (Judi Dench) di tenere una seduta spiritica a casa sua, finendo per rievocare il fantasma della defunta moglie Elvira (Leslie Mann). Solo Charles può vedere Elvira, ma Ruth subisce le conseguenze di questa inquietante presenza, finendo travolta nelle macchinazioni dello spirito che rivuole suo marito per sé… per l’eternità.

Mia moglie è un fantasma cancella la velata misoginia che aveva Charles del film di David Lean e lo trasforma, quasi a punirlo, non solo in un perdente ma in un vero e proprio impostore, rendendo la vendetta femminile ancora più marcata. Se l’intenzione è chiara e risulta anche interessante, lo svolgimento non lo è altrettanto. I personaggi sono volubili e capricciosi come richiede la storia, ma anche il film stesso sembra procedere per caso, a tentoni. Mentre lo si guarda ci si chiede quale sia il punto, dove si andrà a finire, finché eventi improvvisi e chiuse frettolose fanno prendere svolte arbitrarie alla narrazione. Niente sembra seguire una vera logica, e così chi guarda, preso dalla confusione, finisce inevitabilmente per annoiarsi.

Nei toni e nelle intenzioni Edward Hall non sembra decidersi se seguire il purismo filologico o osare qualcosa di più: l’ambientazione déco diventa più colorata e pop ma rimane sempre un fondale anonimo, privo di vera caratterizzazione. Gli interpreti spingono sul pedale dell’esagerazione mimica e vocale ma diventano manichini privi di animosità tragicomica. La trama aggiunge elementi nuovi ma non ha la forza di cambiare le premesse o la morale in modo sostanziale. La regia vuole divertire ma è così piantata e lenta che l’entusiasmo di tutti gli altri comparti creativi rimane un potenziale non espresso.

Il film vuole essere diverso dal precedente, eppure nonostante cambi tutto è uguale a com’era prima. Hall fa tanti piccoli passi per non imboccare nessuna strada, rimanendo in un limbo creativo che è peggio di qualsiasi scelta sbagliata ma perseguita fino in fondo.

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