Mia madre, la recensione

Non sappiamo se Mia madre si rivelerà “il lavoro della vita” di Li Kunwu, ma allo stato attuale incarna la massima espressione del suo talento cristallino

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Mia madre, anteprima 01

I lettori che hanno apprezzato le qualità narrative e il tratto originale di Li Kunwu grazie alla trilogia Una vita cinese, scritta da Philippe Ôtié, verranno letteralmente ammaliati dall’ultima sua fatica, realizzata come autore completo e intitolata Mia madre. L'edizione italiana del fumetto è sempre di add Editore, una piccola casa editrice indipendente, nata a Torino dieci anni fa e subito impostasi all’attenzione nazionale per la cura e la qualità delle proprie proposte, che svariano dai saggi divulgativi alle graphic novel, ma che sono caratterizzate da una comune attenzione ai temi sociali e civili. Non fa certo eccezione Mia madre, che si conclude con la stessa scena con cui si apre il primo capitolo di Una vita cinese, rappresentandone una sorta di prequel.

Dopo aver illustrato la sua biografia in tre volumi, Li Kunwu torna indietro nel tempo, a un passato più distante, offrendo al suo pubblico un ritratto della donna che lo ha generato. Il racconto personale è ancora una volta l’occasione per esporre le vicende del propria patria e della propria gente, ma le due opere affrontano momenti cruciali del Paese molto differenti tra loro: se Una vita cinese mostra le contraddizioni, le miserie e le conquiste della rivoluzione socialista di Mao Zedong, fino all’attuale strapotere economico del colosso asiatico, Mia madre tratta Cina travolta dal caos e dall’instabilità degli anni 30 del secolo scorso, tra i signori della guerra e l’invasione giapponese; uno stato fragile e impreparato alle subdole ingerenze delle potenze occidentali di allora, che occupavano le concessioni nelle grandi città, e lacerato dalla lotta tra il Kuomintang nazionalista e il Partito Comunista.

"Non sappiamo se Mia madre si rivelerà “il lavoro della vita” di Li Kunwu, ma allo stato attuale incarna la massima espressione del suo talento cristallino"Tuttavia, le dissomiglianze non si fermano qui: Kunwu si sforza di conservare in entrambi i lavori una posizione neutra e oggettiva, ma in Mia madre prende il sopravvento la sfera emotiva, l’affetto per il proprio genitore, come sottolinea la sinologa Giada Massetti nella sua impeccabile prefazione al libro. Inoltre, lo sfondo storico risulta meno invadente ed è come un personaggio secondario, a differenza di quanto avviene in Una vita cinese.

La protagonista assoluta del manhua in questione è infatti Xinzhen (traducibile con “Cuore sincero”), a partire dal suo rocambolesco concepimento fino al folgorante incontro con il suo sposo e futuro padre di Li. Kunwu ne esalta la forza d’animo e le qualità intellettuali che le permettono di uscire da una condizione di estrema miseria in cui ogni opportunità, ogni speranza di realizzarsi viene negata a una donna dalla sua stessa madre, in una realtà lontana, che non ne concepisce l’emancipazione.

Scrive nell’introduzione al brossurato lo stesso autore:

“Ho alle spalle molti lavori, ma non sono mai stato così immerso in un libro. Mi auguro quindi con tutto me stesso che questo sia il lavoro della mia vita, perché è un libro per mia madre e da qualche parte in cielo anche lei può vederlo.”

Non sappiamo se Mia madre si rivelerà “il lavoro della vita” di Li Kunwu, ma allo stato attuale incarna la massima espressione del suo talento cristallino che si può sintetizzare in straordinaria attitudine nel saper narrare per immagini. Le pagine di quest’opera sono ricche di scene e di suggestioni contrastanti, dense di emozioni dolcissime e terrificanti, sussurrate dalla poesia di un tramonto, urlate dagli effetti orrendi di un bombardamento aereo.

Il maestro cinese riproduce nelle sue tavole veri e propri virtuosismi di china acquerellata, accentuati dalla scelta di una carta particolare, color fieno, punteggiata da macchie più scure, che evoca un'atmosfera fiabesca e un tempo perduto. Il tratto è nervoso, concreto e i soggetti spesso drammaticamente deformati, fuori da ogni canone. Infinite, impensabili sfumature talvolta leggere, altre potenti, esprimono il mondo interiore dell’artista e parlano una lingua universale, sentire comune dell’essere umano.

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