Mia e il Leone Bianco, la recensione

Pensato per rappresentare il legame tra una ragazza e un leone, Mia e il Leone Bianco fa acqua da tutte le parti tranne quando mette insieme i protagonisti

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Quando nel 2014 uscì Boyhood sembrava un’utopia auspicare un “effetto-Boyhood” per tutto il resto del cinema, cioè che i film cominciassero a trattare la loro lavorazione in modo da riprendere i corpi degli attori che invecchiano invece che invecchiarli con il trucco come si è sempre fatto. Invece qualcosa è cambiato.

Mia e il Leone Bianco ha avuto una lavorazione di 3 anni, nei quali non solo la bambina protagonista è cresciuta, ma è cresciuto anche il leone in questione, i due sono stati insieme e hanno sviluppato un legame. Il progetto non era quindi solo fare un film ma farlo come non lo si era mai fatto. Non solo vediamo i personaggi bambini e adolescenti (addirittura anche Melanie Laurent, in soli 3 anni sembra cambiata) ma vediamo qualcosa che altrimenti sarebbe impossibile: scene dal vero, senza effetti visivi o di montaggio, in cui un’adolescente interagisce con un leone adulto.

È evidente che questa è la bomba del film, quello che la produzione può vantare e che nessun altro ha. E non è poco.
Nonostante alla regia Gilles de Maistre non faccia davvero molto per far ricordare il suo nome, lo stesso il film vanta immagini uniche che sorprendono. Purtroppo ciò che le tiene insieme, ovvero la storia, non è proprio il massimo. Perché Mia e il Leone Bianco ha una trama ovviamente animalista, che mette al centro di tutto il suo punto di forza, cioè il rapporto tra animale e personaggi, ipotizzando una sorta di leone-terapia. Tuttavia i personaggi servono solo ad insegnare una morale (nel più classico dei ribaltamenti saranno i genitori ad imparare qualcosa dai figli) e come nelle storie che insegnano (favole o parabole) sono espressioni di virtù o vizi, non sono realmente persone.

La mamma amorevole, il padre burbero, il fratello con un problema, la ragazza di buon cuore, un socio in affari malvagio. Il cinema per ragazzi non è necessariamente un coacervo di banalità e, se è buono, quando deve ricorrere a caratterizzazioni estreme lo fa con un certo grado di consapevolezza. Mia e il Leone Bianco invece crede fermamente che il suo cattivo sia credibile e accettabile così cattivo, crede davvero che il suo padre burbero sia un buon personaggio e via dicendo.
Poco raffinato nel cesellare i personaggi, il film non lo è per nulla nel rappresentare il conflitto tra adulti e giovani come nello scrivere i rapporti tra ragazzi. Goffo come un elefante in una cristalleria, Mia e il Leone Bianco come si muove fa danni, pretendendo che tutto sia sanato dal grande amore non convenzionale che regge la storia (quello per il leone).

Irredimibile per quel che di demente fa compiere ai personaggi, questo film tutto droni, paesaggi africani e sguardi speranzosi di genitori in apprensione rimane a suo modo un unicum.

Continua a leggere su BadTaste