Mi chiamo Francesco Totti, la recensione | Roma 15

L'impresa di creare un'epica intorno ad una vita personale ordinaria trasforma Mi chiamo Francesco Totti da documentario sportivo a racconto collettivo

Critico e giornalista cinematografico


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La prima di molte eccezionali idee di Mi chiamo Francesco Totti è che non si tratta di un documentario sportivo o sul calcio. È un documentario in cui il calcio è presente ma non racconta quello, racconta una vita. C’è solo quel che è stato importante per Francesco Totti, e anche quelle parti non sono raccontate perché sia chiaro cosa accadde, sono raccontate perché sia chiaro come lui le visse. Chi non conosce la storia della Roma o dell’Italia ai mondiali non uscirà sapendone di più, ma non importa, uscirà avendo compreso perché il giorno che Francesco Totti diede l’addio al calcio si creò quell’emozione collettiva esagerata. Perché fu un evento per una città intera (come per i grandi eventi chiunque l'abbia seguito ricorda dov'era quel giorno) e perché lui stesso lo visse in quella maniera.

Era complesso maneggiare cinematograficamente Francesco Totti. A differenza di molti altri sportivi la sua parabola personale non ha nessuna epica. Non è stata una figura che ha diviso, non era animata da contrasti potenti, non aveva nessun rapporto con i massimi sistemi o la politica, non è stato nemmeno controverso né la sua immagine è stato terreno di negoziazione. Infine in nessun modo era in connessione con l’attualità del suo tempo. Modellare addosso alla sua storia la classica parabola dell’eroe sportivo (ascese e cadute, rivincite e rivalità) sarebbe stato forzato e pietoso. Invece la chiave di lettura è ben più ambiziosa: creare un’epica nuova, la sua, opposta alle solite. L’epica della persona ordinaria dai sentimenti ordinari che vengono gonfiati a dismisura da situazioni e scenari immensi.

Raccontando la carriera di Totti dalla nascita fino al ritiro (l’idea di finzione è che lui, solo nello stadio la sera prima dell’ultima partita, ripercorra mentalmente la propria vita raccontandola) Mi chiamo Francesco Totti si assicura di tornare continuamente ai piccoli affetti, agli amici di una vita, alla famiglia, i fratelli e poi alla moglie e ai figli. Tutto con la voce dello stesso Totti che un po’ recita considerazioni e idee che tuttavia suonano subito oneste e gli danno un’identità chiara. Allo stesso modo il destino è l’unica maniera in cui lui stesso legge quel che è accaduto, e se non suona sempre veritiero di certo suona appropriato in bocca a lui.

Quest’idea di epica sempliciotta in situazioni mondiali già bastava, perché consente un rapporto paritario con la divinità. Lo sguardo su eventi noti è così radicalmente diverso che è facilissimo rivedere i propri genitori o i propri amici, le proprie estati o le proprie questioni sentimentali in quelle di solito raccontate come esclusive e distanti. La descrizione dei componenti della famiglia nel giorno in cui è chiamato per la prima volta in nazionale è esemplare: quelli sono i familiari di chiunque. Quell’idea di racconto e l’impegno nel disegnare un protagonista ordinario e comune, fanno sì che anche un’ambizione difficile come il consentire agli spettatori di rivedere i propri piccoli trionfi nel modo in cui Totti vive i suoi trionfi immensi fuori dalla portata di chiunque, sia immediato e facile. L’immagine chiave in questo senso è quella del calciatore più noto d’Italia, con la velina del preserale più visto, la coppia glamour del momento, che escono la sera e vanno al circo (AL CIRCO!!!) e lui guarda più lei che quel che accade. Potentissima.

Come detto sarebbe bastato tutto questo ma Mi chiamo Francesco Totti fa di più, riesce con un pugno di idee vere di cinema a fare il salto di qualità, trasformando anche storie meno clamorose o concetti scontati in idee visive. La maniera in cui solo ad un certo punto rilegge le stesse immagini che aveva mostrato inizialmente per svelare un uomo ombra, che è sempre stato lì ma noi non lo abbiamo mai notato, la maniera in cui verso la fine mostra quello che lo stesso Totti spiega di aver capito solo da grande (affiancando le immagini da giovane con altre identiche da adulto) e infine lo stacco di montaggio che vale un film intero che collega i dubbi se rimanere a Roma o cambiare squadra al matrimonio con Ilary (ma quello che noi capiamo è che è il matrimonio con la Roma), sono momenti che traducono le banalità più note su Totti (talento, attaccamento, radicamento) nelle finalità del cinema: creare con l’arte del rilascio graduale delle informazioni delle connessioni che fanno scoccare una scintilla non sullo schermo ma nella testa dello spettatore.

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