Chi M'Ha Visto, la recensione
Nel tipico paesino provinciale in cui i personaggi italiani vanno a trovare i veri valori, Chi M'Ha Visto scatena il genio umoristico di Pierfrancesco Favino
Per fortuna a Chi M’Ha Visto accade quasi subito qualcosa di imprevedibile: viene completamente dirottato dai suoi attori sotto la guida del capopopolo Pierfrancesco Favino.
Mentre Beppe Fiorello è intento a fare il protagonista, il chitarrista turnista dei più grandi artisti italiani che non riesce a sfondare da solo e decide di scomparire artificiosamente per “fare notizia” ed essere cercato (ha anche la rituale storiella d’amore densa di clichè con un’improbabile prostituta laureata), Favino, suo migliore amico nella finzione, ruba letteralmente ogni scena, diventando il vero polo d’attrazione di tutto il film fino a trionfare clamorosamente in una ricostruzione televisiva degli eventi che abbiamo visto, fatta per la trasmissione che dà il titolo al film. Un gioiello di recitazione nella recitazione.
Nonostante fino alla fine Alessandro Pondi (esordiente alla regia con una solida esperienza da sceneggiatore in commedie a bassissime tasso di risate quali Natale a Beverly Hills, Natale In Sudafrica, Poli Opposti e Bibo Per Sempre) faccia di tutto per dare al suo film un’aria generica, priva di personalità e soprattutto ritagliata su standard più che altro televisivi, sia per sentimentalismo alla buona che per inutile e inefficace intensità nei momenti di maggiore ardore, Favino (e da un certo punto in poi anche Sabrina Impacciatore), ribaltano qualsiasi scena mettendo se stessi al centro con una capacità di riempire l’immagine e la sceneggiatura di una personalità talmente magnetica da sopprimere tutto il resto e colmare il film di sé.
Nonostante infatti Favino qui si inserisca nella grande e incomprensibile tradizione degli attori italiani che recitano in un dialetto che non gli appartiene (lo fecero Sordi e Manfredi in Venezia La Luna e Tu, lo fece Celentano in Serafino e Rugantino, lo fece Kim Rossi Stuart in Vallanzasca e lo fa ora qui anche lui, un romano che fa un verace pugliese), il suo Peppino sembra uscito da Boogie Nights, ha un sorriso eccitato contagioso ed uno più imbarazzato che alterna con grandissima sapienza.
Come può fare solo un attore (e non di certo un comico prestato alla recitazione) Favino non pronuncia battute ma crea un personaggio che è esilarante per ciò che è, per come vive e si comporta, per la relazione che stabilisce con il resto del mondo (alcuni dei comprimari del film, Don Julio in testa, sono fantastici) e con le persone che gli sono vicino. Solo così riesce a far ridere anche quando, senza motivo e come se fosse obbligatorio, tratta malissimo la dolce prostituta.
In questo sta la parte migliore del film, l’unica che racconti sul serio qualcosa dell’ossessione del comparire, che ci faccia davvero guardare la televisione che più conosciamo nel comportamento di un uomo che se n’è abbeverato.