Metal Lords, la recensione

I timidi e noiosi personaggi di Metal Lords compiono un cammino di moralizzante conciliazione con la loro vena ribelle, accontentandosi di essere più Lords che Metal

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La recensione di Metal Lords, disponibile su Netflix dall’8 aprile

È tutto incentrato sul metal, ma di metal - e di voglia di fare musica - se ne vede pochissimo in Metal Lords. Teen comedy musicale scritta da D.B. Weiss (tra gli sceneggiatori di Il trono di spade) e diretta da Peter Sollett (anch’egli proveniente dalla televisione), Metal Lords non ha infatti né il divertimento scanzonato e leggero che promette di avere né la capacità di costruire personaggi a cui affezionarsi, finendo per risultare più di qualsiasi altra cosa come un dramma annacquato e mal scritto, peraltro dal ritmo (e qui sta il tradimento peggiore) tutt’altro che veloce.

La premessa è la classica ma sempreverde battaglia delle band del liceo, un evento a cui l’inquadrato percussionista della banda Kevin (Jaeden Martell) e il suo migliore amico Hunter (Adrian Greensmith), chitarrista metal devoto al genere, decidono di partecipare pur non avendo mai fatto musica insieme. Kevin per quanto timido è devoto alla causa e si impegna ad imparare i pezzi, ma per partecipare c’è bisogno di qualcuno al basso. Affascinato dalla talentuosa violoncellista con scatti d’ira Emily (Isis Hainsworth), Kevin cercherà di farla entrare nel gruppo affrontando la riluttanza testarda dell’amico.

Nonostante la premessa schiettamente musicale, semplice ma pur sempre solida, è quasi inspiegabile come Metal Lords si vada a sabotare da solo riuscendo a mettere sempre da parte la formazione e le prove della band (l’obiettivo annunciato, in teoria il tirante della storia) per concentrarsi per la maggior parte del tempo su tutto ciò che è secondario: piccoli drammi tra amici, dinamiche di bullismo a ripetizione e l’inquadramento macchiettistico di Hunter come il ragazzo che ha un difficile rapporto col padre. Neanche fossero di per sé interessanti, tutti questi piccoli momenti di adolescenti in crisi non ci danno alcuna conoscenza in più sui protagonisti, relegandoli a una costante bidimensionalità che nemmeno l’aspetto musicale riesce a controbilanciare.

Gli autori del film sembrano quasi ammettere di non amare loro stessi il metal, perché per quanto la parola venga pronunciata in continuazione dai personaggi questa musica sembra più la cornice decorativa in cui far rientrare “il perdente”, ma non si ha mai la voglia di suonarla, di parlarne, di esaltarla. Di momenti musicali in Metal Lords praticamente non ce ne sono, e questo la dice lunga.

Per Hunter il metal è, a quanto dice, una vera e propria filosofia di vita, ma di questa non si ha che un’accenno di messa in pratica giusto un paio di volte. Per il resto quella passione vive come puro bozzetto di sfondo su magliette, poster e borchie, ma mai nello spirito dei personaggi, preoccupati soltanto di essere il più educati possibili l’uno con l’altro con una una pacatezza emotiva che stride continuamente con la premessa scanzonata della sfida lanciata da un gruppo di outsiders.

Da Skull Fuckers a Skull Flowers, i timidi e noiosi personaggi di Metal Lords compiono un cammino di moralizzante conciliazione con la loro vena ribelle, accontentandosi (e con ciò contraddicendosi) di essere accettabili per gli altri. Decisamente più Lords che Metal.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Metal Lords? Scrivetelo nei commenti!

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