Mercurio Loi 8: Il colore Giallo, la recensione
Recensione dell'ottavo numero di Mercurio Loi: Il colore Giallo, pubblicato da Sergio Bonelli Editore
Che Mercurio Loi fosse un fumetto peculiare nel suo genere lo sapevamo già, così come è nota la qualità delle storie di Alessandro Bilotta, sceneggiatore poliedrico che sulla testata esplora mondi nuovi, pur restando sempre ancorato saldamente a Roma, ambientazione delle storie che rendono la testata un caso praticamente unico tra le proposte da edicola. Nel corso dei mesi, Mercurio Loi ha tratto la sua forza da diversi elementi ricorrenti all'interno della narrazione, che hanno reso l'arena in cui agisce il personaggio ben riconoscibile, con ogni avventura straordinaria credibile come se fosse ordinaria amministrazione.
L'affascinante copertina di Manuele Fior fa da cappello all'albo, proponendo fin da subito l'importanza centrale del colore nella vicenda. La storia si apre con un narratore onniscente figlio del teatro tradizionale all'italiana: l'incarnazione del Giallo - non poteva essere altrimenti, dato il genere legato all'indagine - colore primario complementare al Blu. Il Giallo parla di sé nel raccontare il legame tra verità e menzogna, di come esse si possano sommare solo formando il Nero, che incarna la Morte. Il monologo fa da anticamera a quella che sarà la storia che leggeremo da quel punto in avanti.
Questo dualismo, antico come l'uomo stesso, sarà il filo rosso che attraversa la trama: Mercurio Loi dovrà scoprire se una giovanissima contadina abbia effettivamente visto la Madonna o meno. L'apparizione mariana, che mette in moto tutta una serie di interventi da parte della Chiesa, viene vista da Sciarada come un'imbroglio, e per questo motivo viene chiamato a indagare il Professore. I colori giocano nuovamente un ruolo assai importante: l'intera zona rurale in cui è avvenuta l'apparizione è immersa nel giallo dei campi, mentre i funzionari ecclesiastici che devono stabilire la veridicità o meno della faccenda sono immersi nella luce blu della casa, indossando abiti neri. Il Vescovo Longhi, eminenza incaricata di verificare il fatto accaduto, diventa il nuovo specchio contrapposto a Mercurio, reiterando il tema della fede messa di fronte alla ragione. L'appetito del Vescovo arpiona il personaggio alla materia terrena, che senza mai abbandonare la luce blu della menzogna all'interno della casa si tiene ben lontano dalla povera bambina. Il protagonista, invece, si immerge nell'indagine, osservando al meglio la realtà senza affidarsi ai segni divini.
Quando il Giallo riprende la narrazione, questa dualità viene nuovamente sottolineata dal suo monologo. Oltre ad avvicinare nuovamente la propria colorazione al nero, il colore del grano riporta l'attenzione sull'altro grande dualismo antico come il mondo: la vita e la morte. A questo proposito, Ottone fa la sua comparsa nella storia, portando sulle spalle il peso dell'omicidio che ha compiuto, incarnato nel bel volto di Diana, figlia dell'uomo che lui ha assassinato. Quando i due si osservano, vedono nell'altro ciò che sentono nell'anima: Diana è vestita di blu, come le menzogne che Ottone le racconta per non farle scoprire che lui è l'assassino del padre, mentre Diana vede il riflesso sincero della sua anima nelle vesti gialle di Ottone. Queste posizioni vengono confermate dal dialogo che si svolge tra i due, più simile a un monologo di Diana, che non riesce a capacitarsi dell'ambiguo comportamento del ragazzo.
Il successivo incontro tra Mercurio e Ottone apre a un passaggio che sfrutta al meglio l'eleganza del linguaggio del Fumetto, nel dialogo a tre tra i due personaggi e un canarino (giallo). Il colore Giallo torna a essere osservatore onniscente della vicenda, aggiungendo parole al discorso portato avanti da Mercurio e Ottone, senza appesantirlo. Siamo a metà albo, e i protagonisti accarezzano la soluzione illusoria dell'esistenza la casa degli Scettici. Qui sono tutti vestiti di giallo (quindi indossano la verità) e si respira aria di pace (solo se osservati da lontano, dove non si sentono i litigi legati all'imposizione della verità individuale).
Nel frattempo, la religione non vuol perder tempo, per questo la macchina organizzativa del miracolo è stata messa in moto dalla Chiesa. Nelle tavole della conversazione a tre che coinvolge il vescovo, Mercurio e Ottone c'è un equilibrio visivo realizzato meravigliosamente da Matteo Mosca, con il Professore che fa da ago della bilancia tra l'assistente (scettico) e l'uomo di Chiesa (che non si pone domande sulla fede). Il miracolo ha smosso i poveri e i disperati, coloro che non hanno la forza per porsi domande quando c'è in gioco la loro sopravvivenza, mossi unicamente dall'idea del tentare ancora un'altra via per la salvezza.
Successivamente Mercurio incrocia per la prima volta Galatea, la bambina a capo di Sciarada, che incarna nell'istintiva curiosità dei fanciulli il gene primigenio di chi è pronto a smascherare ogni menzogna con le domante. Mercurio resta in perfetto equilibrio tra ragione e superstizione, prendendosi gioco tanto degli uomini di Chiesa tanto dell'incarnazione della curiosità, rivolgendole a specchio una domanda scomoda che rivela estremamente imbarazzante da accettare per chi non dovrebbe dare alcun peso alle superstizioni.
Quando la narrazione torna dai contadini, il padre della bambina (anche lui uomo di terra e poca cultura) si rivolge a Dio. I colori, nuovamente, raccontano più delle parole: l'uomo cerca un colloquio che sia di sollievo, trovando solo un silenzio apparentemente illuminato da luce blu, che stando alle regole dell'albo continua ad incarnare la menzogna. A osservare meglio quelle vignette, però, è facile notare che la lama di luce che investe l'uomo abbia una matrice più calda rispetto alla notte, quindi, ancora una volta, la risposta alla domanda reiterata dall'inizio dell'albo continua a restare ambigua.
Torna il giorno, e dopo un colloquio che fa da ponte tra due momenti ritroviamo Mercurio e Ottone nella radura, dove anche il colonnello Belforte (l'incarnazione della Legge) è giunto sul luogo del miracolo. Di nuovo una doppia visione: la Legge al servizio della Chiesa o dell'ordine pubblico, con la verità nuovamente nel mezzo, dove nessuno si aspetterebbe possa sedersi. Per la prima volta, i genitori della bambina hanno voce, che grida un dolore simile a quello di Maria, madre di Gesù, cantato da Fabrizio De André in Tre Madri ("Non fossi stato figlio di Dio, t'avrei ancora per figlio mio"). In quanto genitori (umani), vorrebbero solo sgravare il peso del divino dalla testa della figlia, mostrando come l'amore familiare possa trascendere qualsiasi forma votiva quando si tratta del benessere dei propri figli.
L'ultima conversazione che avviene tra Mercurio e il Vescovo Longhi avviene davanti al cibo. I due parlano di accettazione della fede (un termine usato non a caso), di intelligenza e di logica, descrivendo la figura del credente (da un lato) e di chi conosce (dall'altro) in modo parimenti dignitario, con una spiazzante conclusione sulla differenza che passa tra religione e superstizione.
L'ultimo monologo del Giallo, infine, mostra, la verità indossata da ogni personaggio presente nella storia, raccontando ai lettori una vicenda che fa riflettere sul concetto di completezza, superstizione e umanità. In chiusura, Mercurio ritrova la ragazzina lontana dalla processione e insieme si imbarcano puntando al Sole (massimo esponente di verità condivisa); mentre Ottone abbandona la luce blu della penombra per abbracciare - in un tramonto giallo - i suoi demoni e incontrare la giovane Diana come avrebbe voluto.