Mercurio Loi 16: La morte di Mercurio Loi, la recensione
Abbiamo recensito per voi il sedicesimo e ultimo numero di Mercurio Loi
Il professore non c'è più: lunga vita al professore!
Questo lo strillo scelto da Sergio Bonelli Editore nel lanciare l'ultimo numero di Mercurio Loi. Probabilmente uno dei più azzeccati possibili, vista l'assoluta peculiarità della storia.
In tal senso, è doveroso trattare in prima istanza il lavoro di Matteo Mosca e Francesca Piscitelli, i quali riescono a esprimere con estrema precisione ogni singola inquadratura e variazione cromatica. Tali aspetti sono più che mai al centro della narrazione. Il volto dei singoli individui è una delle caratteristiche principali di decodifica della storia e, parimenti, le somiglianze o le differenze di aspetto e portamento forniscono numerosi dettagli interessanti.
Passando alla trama, è lecito affermare che sin da quando la serie ha debuttato in edicola è stato possibile identificare alcuni pilastri indissolubili, ricorrenti numero dopo numero: il concetto di "doppio" (a sua volta declinato in molti modi), la scomposizione degli indizi tipica delle indagini condotte dai migliori detective e l'introspezione dei singoli personaggi. Tutti questi topoi hanno rappresentato il motore narrativo di una storia orizzontale che ha più volte cambiato passo nel corso dei mesi e di sedici storie verticali profondamente differenti tra loro, nella forma e nella sostanza.
Non è facile trattare i contenuti di questo sedicesimo e ultimo capitolo senza parlare della storia. Come nella chiusura di uno spettacolo teatrale, uno a uno i personaggi sfilano sul piccolo palcoscenico vedendo le loro vite finire sotto i riflettori, alcuni di loro per l'ultima volta. Mai come nel caso di questa vicenda, ogni individuo è una maschera (con tanto di trucco, parrucco e protesi sceniche) volta a rappresentare dei concetti che trascendono la singola persona, fino ad arrivare alla domanda cruciale: chi è Mercurio Loi?
Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.
...Si domandava Shakespeare, tramite le parole di Giulietta. Parimenti, il legame tra nome e identità è al centro di quest'ultimo brossurato, con dei risvolti tutt'altro che scontati. Mercurio Loi non c'è più. Ciò è indiscutibilmente vero, anticipato dalla stessa casa editrice all'interno della sinossi dell'albo, ma al suo posto c'è qualcosa di più grande: un mito che resta tra i bisbiglii della gente, destinato a durare negli anni, come i migliori super eroi dei fumetti.
La domanda, a questo punto, muta leggermente: un personaggio può davvero morire? La storia editoriale dei paladini di Marvel e DC Comics ci insegna il contrario. L'avventura editoriale di ogni uomo in calzamaglia è costellata da ripetizioni infinite del trittico origine/sviluppo/morte, rendendo immortali le idee che muovono le loro azioni. Come mostrato dalla simbolicissima copertina di Manuele Fior, il professore ascende a Vitello d'oro contemplato e venerato da una folla "contemporanea" come fosse una statua di origine divina, un mito lontano nel tempo e nello spazio, eppure a pochi centimetri dal volto di ogni osservatore.
Come i personaggi di Alan Moore (giusto per fare un esempio riguardo all'immortalità delle idee contrapposta alla mortalità dei singoli) anche quelli di Bilotta sono portatori di un vessillo specifico che li rende iconici rispetto ai loro simili. In questo senso, nel corso di questo numero Mercurio Loi compie la trasfigurazione estrema, tramutandosi in un'idea, in diversi atteggiamenti: l'attitudine all'indagine, la passione per le passeggiate e per i racconti. L'uno si scompone, ancora una volta, tramutandosi in diverse singole parti. Da un personaggio sfaccettato nascono più one dimensional man che vogliono rivendicare il diritto di identificarsi in lui, nonostante rappresentino solo una pallida emanazione rispetto all'originale. Chi ha ragione e chi ha torto? L'albo risponde in modo intelligente ed elegante anche a questa domanda.
Come un big bang, il finale della serie deflagra creando un nuovo equilibrio: criptico, universale, inaspettato e rischioso, tenendo ancora una volta onore alla qualità vista nel corso di questi anni. Ogni sopravvissuto ha un nuovo, naturale posto nel mondo, come se gli eventi a cui abbiamo assistito non potessero condurre nient'altro che a questo.
Al termine di questa tornata editoriale, il bilancio è positivo sotto tutti punti di vista, senza alcun appunto particolare. Un esperimento del genere - anche se é difficile definirlo unicamente tale visto il successo di pubblico e critica che ha ricevuto - è qualcosa di molto raro nel panorama del Fumetto italiano, per questo motivo resta la speranza di poter leggere in futuro altre opere di pari qualità relative a questo universo narrativo.