Mercurio Loi 14: Nascondino, la recensione
Abbiamo recensito per voi Nascondino, il quattordicesimo numero di Mercurio Loi
Quando con Tempo di notte Alessandro Bilotta ha scelto di dare una forte scossa alla continuity di Mercurio Loi, premendo sull'acceleratore per quanto riguarda l'avvicendarsi degli eventi, il paradigma alla base della testata ha iniziato a vivere un profondo mutamento. Il personaggio perdigiorno per eccellenza di Sergio Bonelli Editore ha improvvisamente vissuto una svolta legata all'azione, efferata e crudele, lasciando da parte gli ampi spazi delle passeggiate senza meta. La lettura si sposta dai binari della certezza nei ritmi e nella forma per riprendere a stupire profondamente, raccontando qualcosa di più vicino che mai all'avventura classica.
Mercurio Loi e diversi comprimari sono in fase di ritirata, scappando dalla legge o dal pericolo, forse più in generale dalla vita; ma per andare dove? In questa ambientazione che è stata in grado di rendere palcoscenico un'intera città, la sensazione è che l'unica fuga davvero possibile sia quella da se stessi, in maniera più o meno velata.
Lo spettatore torna a essere (quasi) onniscente: è consapevole dei pericoli in agguato ed è in grado di osservare il quadro dall'alto, una visuale a volo d'uccello che nella storia si è creduta unicamente appannaggio delle divinità. La rappresentazione degli spazi e dei personaggi realizzata da Massimiliano Bergamo è qualcosa a metà tra il rompicapo da risolvere - interrogandosi sul significato nascosto di ogni singola espressione - e sulle possibilità di fuga rappresentate dai diversi vicoli.
Il pericolo è reale ed è particolarmente tangibile. Per fare un esempio pratico, in una sequenza in particolare, viene espressa la minaccia più ancestrale vivibile dal cervello umano, quella ignota e fuori dalla nostra portata. Questo particolare passaggio, così come diversi altri, concretizza la sensazione che ci sia qualcosa di più "grande" a minacciare gli ultimi bagliori di tranquillità, come se il peggio debba ancora venire.
L'elaborata regia delle tavole e la narrazione sempre molto scorrevole confermano quanto Bilotta dosi ogni singolo elemento in modo chirurgico, con i colori di Nicola Righi che riescono a enfatizzare il tutto, dando un tono molto drammatico e cupo a questo momento di transizione.