Men in Black 3, la recensione
Men in Black 3: ecco che succede quando non c'è nessuna idea, nessun motivo e nessuna voglia di fare un sequel ma lo si fa lo stesso...
Se volete prendervela con qualcuno fatelo con Etan Cohen, che nulla ha a che vedere con il quasi omonimo "fratello Coen", ed è invece sceneggiatore tra i peggiori cui Hollywood può affidare un film. Se già l'idea di un terzo Men In Black ad anni di distanza dal secondo non sembrava eccessivamente calzante, in mano a lui diventa la cosa peggiore che un sequel possa diventare: un episodio televisivo con un 3D svogliato e impercettibile.
Anche per questo motivo (ma non solo) aMen in Black 3mancano tutte le caratteristiche precipue del cinema, figuriamoci quelle di un sequel! Non c'è evoluzione dei personaggi, non c'è un tema forte, non c'è un'identità precisa nè un vero e autentico pretesto narrativo (o idea) che giustifichi la realizzazione del film.
Anche l'umorismo (ripetitivo al massimo se si conoscono gli altri due film) non è più divertente e vive del solo impegno dei due attori, anzi del solo impegno di Will Smith e del cammeo di Bill Hader nel ruolo dell'agente infiltrato nella factory sotto il nome di Andy Warhol.
Fortunatamente per i produttori, in questi casi si dice che chi ha amato i due film precedenti andrà comunque a vedere questo terzo, a prescindere da quante cattive voci possano girare.