Memory, la recensione | Festival di Venezia
Il film più tenero e romantico di Michel Franco, Memory, è un melo classico che sa anche fare un discorso non banale sull'uso del passato
La recensione di Memory, il film di Michel Franco, presentato in concorso al festival di Venezia
Come in una giornata calda nella quale l’arrivo di un vento fresco muta l’ambiente, così quel bacio apre un film iniziato con un altro tono, con un uomo che segue in modi inquietanti una donna a ritorno da una festa, fino a rimanere sotto casa sua anche con la pioggia e fino al mattino dopo. Sembra uno stalker pericoloso e invece è solo una persona con problemi di memoria. Tutta la prima parte di Memory è un classico di Michel Franco, nei cui film le rivelazioni aprono squarci inquietanti. Jessica Chastain è la protagonista, ex alcolista, che da dieci anni è sobria ma frequenta ancora le riunioni di alcolisti anonimi. Quest’uomo in realtà già lo conosce e dopo l’incidente del pedinamento, scoperto il suo problema di memoria, lo prende da parte per accusarlo: lui decenni prima, al liceo, l’ha violentata, anche se ora non lo ricorda. Peccato non sia vero. È una fabbricazione, una memoria finta che come altre nel film viene usata dai personaggi come proiettili per colpire.
Sono bravissimi Jessica Chastain e Peter Sarsgaard a recitare il crescente sentimento tra due persone mature, non proprio usuali. Lei crede nel concetto di sponsor, cioè la persona che aiuta un’altra a uscire da una difficoltà (visto che le ha consentito di uscire dall’alcolismo) e per questo si occupa di quest’uomo in difficoltà; i problemi di memoria di lui invece lo mettono nei guai spesso e fanno sì che necessiti di attenzione. Eppure hanno una dolcezza nel relazionarsi che fa del film un veicolo tenerissimo per idee intelligenti.
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