Memory, la recensione
Manifesto del cinema anziano moderno, non quello girato da anziani né quello nostalgico ma quello che ragiona e si comporta da anziano
La recensione di Memory, il film di Martin Campbell nelle sale dal 16 settembre
Il fatto che la storia sia quella di una persona anziana con problemi da persona anziana, paradossalmente, è quasi un caso. Liam Neeson ovviamente uomo duro e violento, sicario senza pietà, sta perdendo la memoria per via dell’Alzheimer, dei medicinali lo aiutano a rimanere più o meno affidabile ma è chiaro visto il titolo e viste le esigenze della storia che presto o tardi in questa parabola di omicidi su commissione rifiutati e vendetta contro i committenti (rei di non avere più il classico senso del rispetto e dell’onore) arriverà il momento in cui la questione memoria sarà un problema. Ironicamente succederà in extremis come se tutti si fossero dimenticati della cosa fino agli ultimi giorni di lavorazione.
E poi la storia, rallentata nel ritmo, in cui tutto viene detto e ridetto di continuo in un moltiplicarsi di momenti di solitaria pensosità. Gli eventi cruciali sono sempre posizionati in un passato ingombrante, rievocato a parole quando va bene e con pessimi flashback quando va male. Di certo sempre un passato migliore, in cui le persone erano migliori e la vita e il lavoro (che spesso nel cinema americano sono la stessa cosa) funzionavano come dovrebbe essere. Immancabili gli scambi di dialogo in cui fare un bilancio di vita, magari da letto di ospedale, tra personaggi che hanno sempre qualcosa di positivo e dolce in fondo, note di comprensione o compassione espresse da continue ripetizioni. Tutti tranne IL MALE, che è tale senza appello, sta lì a simboleggiare tutto ciò contro cui vale la pena battersi. Non nomineremo, per decenza, posizione e ruolo delle donne.