Melancholia - la Recensione
Pur con alcuni punti di forza, Melancholia (passato al Festival di Cannes) conferma il momento di stanca nella carriera di Lars Von Trier...
Dopo anni di Dogma 95 e film al limite del cinema sperimentale, Lars Von Trier ha inaugurato una nuova fase della sua carriera. Se con Antichrist questa era solo un'ipotesi, con Melancholia diventa una certezza, perché Charlotte Gainsbourg non è l'unico anello di congiunzione fra i due film, che sembrano svilupparsi stilisticamente su binari paralleli.
La scena d'arpertura ci regala alcune immagini patinatissime e di sicuro impatto visivo, che possono essere così riassunte: Lars Von Trier ha scoperto che il ralenti gli piace un sacco e non ha paura di farcelo vedere, raggiungendo vette che non dispiacerebbero a Zack Snyder.
Superato il grosso scoglio del matrimonio le cose vanno finalmente meglio, grazie a Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg che, pur senza guizzi, portano in vita due personaggi convincenti.
Ciò che rende migliore lo sviluppo della storia è anche il progressivo avvicinarsi di Melancholia, misterioso pianeta rimasto a lungo nascosto dietro al Sole, la cui minaccia - nonostante il finale sia chiaro fin dalla prima scena - crea un'innegabile tensione nell'ultima ora di film.
Ma è proprio l'elemento fantascientifico a generare ulteriori perplessità a cui volenti o nolenti non si può non prestare attenzione. È evidente a tutti (anche perché lo ha dichiarato il regista stesso- che Lars Von Trier non voleva fare un film di fantascienza; non voleva scomodare gli aspetti scientifici, politici e sociali che un evento come l'imminente fine del mondo comporterebbe, perché in fin dei conti Melancholia non è un pianeta ma un'ingombrante metafora della fine. Appurato dunque che ciò che gli interessa è l'indagine di due approcci diversi alla consapevolezza della morte, è davvero difficile accettare che di fronte al pericolo via via più imminente, per ottenere informazioni i personaggi si affidino a un telescopio e a uno strumento di fil di ferro, che saranno anche più affascinanti e "filmici" rispetto a internet e televisione, ma molto meno plausibili.
Insomma, è un po' troppo comodo decidere di partire da una premessa fantascientifica per poi ignorarne tutti gli effettivi risvolti (qualcosa di molto simile a quello che accadeva in Non lasciarmi di Mark Romanek), anche perché ignorare l'esistenza della tecnologia genera dei risultati falsati anche a livello umano.
I frequenti rimandi fra la situazione personale delle protagoniste e l'universo ignaro della loro esistenza non può non far venire alla mente un altro dei film protagonisti a Cannes, il vincitore della palma d'oro The Tree of Life. Di fronte a certe immagini, viene da chiedersi se Terrence Malick e Lars Von Trier non si siano telefonati prima di girare i rispettivi film, perché con tutte le dovute (ed enormi) differenze, è evidente che alcuni degli interrogativi e delle modalità adottate per proporli siano simili. Ciò che cambia sono le risposte a questi interrogativi, o per lo meno l'approccio dei due registi a tematiche così delicate, che come quello delle due sorelle di fronte all'arrivo di Melancholia, sembra diametralmente opposto.
Il nichilismo di Lars Von Trier è evidente, e viene perfettamente espresso nel corso del film dalle parole di Kirsten Dunst, la quale però, liberatasi dai pesi che si portava dietro da sempre, risulta la più serena. È proprio questa visione malinconica della vita, che non è certo nuova nella sua filmografia, a risultare ancora affascinante e a farci pensare che Lars Von Trier possa ancora raccontare qualcosa di interessante.
Liberandosi magari di una certa presunzione e ridondanza di cui hanno sofferto i suoi ultimi film...