Meglio Nate che niente, la recensione

Meglio Nate che niente è un film acceso dalla carica energica del suo protagonista e spento da un intreccio assai meno vivace

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La recensione di Meglio Nate che niente, dal 1° aprile su Disney+

Il tredicenne Nate balla nella sua piccola stanza fantasticando un futuro radioso da cui è ancora ben lontano, come Ewan McGregor in Moulin Rouge. Sogna di scendere dalla finestra tramite una scala, come il protagonista di West Side Story. Cita continuamente film celebri, pensando di essere l’unico della sua età a conoscere ogni parola di Corner of the Sky (brano all'interno del musical Pippin).  In Meglio Nate che niente (esordio alla regia di Tim Federle, showrunner di High School Musical: The Musical – La serie, a partire dal suo romanzo omonimo) l’immaginario musical pervade il protagonista e la stessa struttura del film, che ne ripercorre le dinamiche più comuni, ma trasposte ad altezza di bambino.

All’inizio della storia, Nate sogna una carriera a teatro, ma non riesce nemmeno a ottenere una parte nella recita scolastica e sembra costretto ad abbandonare i suoi progetti ancor prima che questi possano iniziare. Quando però i suoi genitori decidono di trascorre il weekend in ferie lontano da casa, la sua migliore amica Libby lo spinge a recarsi a New York per prendere parte ai provini di un musical tratto da Lilo & Stitch. La sfida sembra impossibile, ogni ostacolo insormontabile, eppure la sua determinazione e l’aiuto delle persone a lui vicine lo aiuteranno a non darsi per vinto.

Nelle sue (dis) avventure, non c’è mai un'ombra, uno squarcio che possa farci credere che le cose possano andare diversamente da come alla fine andranno; l'atmosfera, una volta arrivati nella grande metropoli, è sempre luccicante. New York è trasfigurata dalle luci al neon che illuminano anche il piccolo appartamento della zia Heidi (Lisa Kudrow), che il protagonista incontra per caso alle audizioni. Federle sembra guardare allo sfarzo caotico e trascinante di Baz Luhrmann, collocando le vicende nella più stretta contemporaneità, dove la fama si raggiunge se si diventa virali su TikTok. Impossibile non venir trascinati dalla carica del film e del suo protagonista, interpretato da Rueby Wood, all’esordio cinematografico. Un piccolo genietto dagli occhi vispi, la cui foga visiva e verbale compensa l'iniziale goffaggine.

Tanto quanto allora Meglio Nate che niente è acceso dall'energia del suo protagonista, viene progressivamente spento da un intreccio assai molto brillante. La dimensione metatestuale (i personaggi che vivono come dentro a un musical), l'interessante caratterizzazione del protagonista (un'intelletto scattante frenato dal corpo infantile) non viene mai poi sviluppata a dovere o problematizzata. Seguire le proprie aspirazioni non significa mettere in secondo piano tutto il resto. Al contrario, qui Nate in modo semplicistico riesce a conciliarle con un ritrovato legame con la propria famiglia, in cui ancora una volta è evidente il rispecchiamento con la morale di quel Lilo & Stitch messo in scena a Broadway. Gli adulti (in personaggio appena abbozzati) vanno incontro a ripensamenti e riconciliazioni troppo forzate. Più riuscita sembra invece la figura di Libby, ragazzina propositiva costretta poi a fare un passo indietro di fronte al successo di Nate. Ma anche lei poi riuscirà a trovare la propria strada, senza che questi comporti l'allontanarsi da lui. Tanti bei messaggi positivi, che però alla fine non convincono del tutto.

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