Megalopolis, la recensione | Cannes 77

Il film più ambizioso di Francis Ford Coppola è un disastro. Megalopolis vuole cambiare il cinema ma fa male anche i fondamentali

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Megalopolis, il film di Francis Ford Coppola in concorso al Festival di Cannes

C’erano due cose ampiamente note riguardo Megalopolis: che Francis Ford Coppola lo ha preparato in un modo o nell’altro per almeno 25 anni e che lo ha finanziato con i suoi soldi, per poterlo fare senza condizionamenti, vendendo i suoi vigneti. Il risultato, in un certo senso, rispecchia queste premesse: è un film che palesemente non ha avuto un produttore a irreggimentare il desiderio e le ambizioni del regista, ed è un film che non ha risorse sufficienti per le proprie ambizioni (o le ha spese male). La sorpresa è che è anche un film che sembra poco preparato, scritto in maniera molto confusa (quindi una sceneggiatura non rivista a sufficienza) e girato in fretta, senza lavorare quanto servirebbe sulla recitazione.

Paradossalmente questi problemi sono però il meno. A rendere Megalopolis un disastro è l’ambizione senza senso di rivoluzionare il linguaggio cinematografico senza fare bene nemmeno i fondamentali. La storia è quella di un architetto in una New York che si chiama New Rome, ha tutte le caratteristiche dell’antica Roma in un contesto moderno (la trama ricalca la storia del contrasto tra Cicerone e Catilina), con una pomposità che lo fa somigliare agli adattamenti shakespeariani sull’antica Roma. È una città decadente dove tutti espongono i loro vizi. È il nostro occidente per sineddoche, in cui questo architetto ha un piano per rivoluzionare tutta l’urbanistica e così cambiare in meglio il mondo creando un’utopia.

Non c’è niente di più americano di quest'idea di un visionario che ha creato un nuovo materiale e che attraverso quello, cioè attraverso la tecnologia, vuole dare forma a un’utopia. È esattamente quello che Franco La Polla diceva del cinema americano: “La tecnologia al servizio dell’ideologia”. All’architetto si contrappone il sindaco Cicerone, che vuole che le cose rimangano come sono, e per riuscirci cerca in ogni modo di demolirlo, non sapendo che lui ha una storia con sua figlia. In mezzo c’è la ricca simil-trumpiana famiglia Crasso con i suoi eredi viziati in cerca di potere. Se tutto appare confuso è perché è confuso. Se appare molto chiara l’allegoria di fondo è perché viene ripetuta chiaramente in ogni dialogo.

Ci sarebbe ancora di più, come l’architetto che può fermare il tempo (a simboleggiare la sua forza creativa che perde e ritrova a seconda della mancanza o presenza di ispirazione), una giornalista senza scrupoli e un presente con trucco e vesti sgargianti ed esagerate, feste ed eventi pubblici filmati alla buona che alla fine della fiera fanno sembrare New Rome una versione demo della Panem di Hunger Games. E questo è quando va bene. Quando va male (e capita!) il film è apertamente ridicolo. Adam Driver con la testa fasciata che urla di dolore è un momento di reale e autentico imbarazzo, come lo è la morte diun personaggio interpretato da un attore molto famoso filmata in 4 secondi nel più falso dei set. Che l’unico attore perfettamente in palla siaShia LaBeouf (a cui tocca una delle battute più ridicole: “La vendetta ha un sapore migliore se indossi un bell’abito”), di suo già in tono con questa messa in scena sopra le righe e assurda, la dice lunga. Ci si chiede come mai Nicolas Cage non sia stato contattato.

Alla fine Megalopolis non riesce mai a essere l’ode alla libertà dell’arte che è capace di cambiare il mondo che vorrebbe essere, è un film maldestro e soprattutto vecchissimo, in cui l’unico personaggio femminile di rilievo sta lì per far avanzare il protagonista maschile, viene lodata da tutti ma non ha nessuna agentività, è un motore immobile che passa da scandali sessuali e potenza sessuale a portare in grembo un figlio. E pure la sua idea di rottura (nelle proiezioni di Cannes un uomo, in sala, ha dialogato per un minuto con Adam Driver sullo schermo) non serve realmente a nulla di nulla e non ha economia nel senso del film. Afferma solo la libertà artistica di Coppola in questo film.

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