Meet Cute, la recensione
La struttura che si intravede dietro Meet Cute è quella di Ricomincio da capo ma sa interpretarla in una maniera tutta sua molto giusta
La recensione di Meet Cute, disponibile su Prime video
Rivivere continuamente la stessa giornata tramite continui viaggi nel tempo non per aggiustarla né per adattarsi al meglio alle situazioni e giungere ad un obiettivo, ma per cullarsi in un piacere malinconico. La protagonista rivive il primo appuntamento con il ragazzo con il quale poi, nel futuro, non riesce a mantenere un rapporto. In quella prima serata perfetta c’è tutto, difetti inclusi e cerca di sanarli inutilmente, vuole cambiare lui, cambiare il mondo e rivivere continuamente quel primo appuntamento. Sembra una struttura noiosissima invece con un po’ di idee di scrittura non male e lei come narratrice molto poco affidabile, siamo condotti su tanti percorsi sbagliati (ma divertenti), non ci viene spiegato bene mai nulla artificiosamente fino a che non capiamo come stanno le cose.
È un peccato allora che Meet Cute sbagli la chiusura, prema fortissimo sulla lettura psicanalitica e sveli con smaccata sfacciataggine che stiamo parlando di un’allegoria di come si svolgono (e risolvono) i problemi di relazione, affondando nel passato capendo l’origine di certi atteggiamenti e quindi fidandosi dell’altro per risolverli. Ma anche volendo superare un po’ di didascalismo a sgonfiare tutto è la fine di quella gran tensione sentimentale che il copione di Pnueli, la regia di Lehman e la chimica di Davidson/Cuoco avevano creato. Vorrebbe arrivare all’apice e invece chiude in minore. Perché?