Meet Cute, la recensione

La struttura che si intravede dietro Meet Cute è quella di Ricomincio da capo ma sa interpretarla in una maniera tutta sua molto giusta

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Meet Cute, disponibile su Prime video

Il format è sempre quello, il più ripescato, rimescolato, riadattato e riscritto di questi anni: Ricomincio da capo di Harold Ramis. A ogni nuovo film che ci mette mano (solo a memoria Edge Of Tomorrow, Russian Dolls, Palm Springs, Io vengo ogni giorno, Prima di domani, Auguri per la tua morte e Naked) viene violentato un po’ di più, piegato e deformato in una mitologia in continuo cambiamento, forse la più plasmabile delle fantasie che si adatta a raccontare cose molto diverse. Meet Cute lo prende alla larga con una protagonista che può viaggiare indietro nel tempo per 24 ore e sceglie di farlo alle 24 ore precedenti, potrebbe scegliere qualsiasi giornata nella storia e invece sceglie ieri, di continuo. Il tono è subito paradossale ma molto molto ben dosato e gestito, fino a creare un’atmosfera colorata come le luci del ristorante indiano e tenera come lo sguardo di Kaley Cuoco, mai così brava.

Rivivere continuamente la stessa giornata tramite continui viaggi nel tempo non per aggiustarla né per adattarsi al meglio alle situazioni e giungere ad un obiettivo, ma per cullarsi in un piacere malinconico. La protagonista rivive il primo appuntamento con il ragazzo con il quale poi, nel futuro, non riesce a mantenere un rapporto. In quella prima serata perfetta c’è tutto, difetti inclusi e cerca di sanarli inutilmente, vuole cambiare lui, cambiare il mondo e rivivere continuamente quel primo appuntamento. Sembra una struttura noiosissima invece con un po’ di idee di scrittura non male e lei come narratrice molto poco affidabile, siamo condotti su tanti percorsi sbagliati (ma divertenti), non ci viene spiegato bene mai nulla artificiosamente fino a che non capiamo come stanno le cose.

Noga Pnueli scrive una sceneggiatura scemissima al punto giusto, in cui la macchina del tempo è un lettino abbronzante nel retro di un locale cinese per farsi le unghie (tan machine/time machine), e in cui le motivazioni di tutti sono le più egoiste. Cuoco e Pete Davidson sono perfetti insieme, fenotipicamente giusti e i luoghi metropolitani scelti i più giusti. Merito di Alex Lehman, che sembra non sbagliare nemmeno un dettaglio di questa regia, lavora durissimo di fotografia con John Matysiak (in un genere che di solito si appoggia molto più al montaggio) per deformare la vera città e creare un luogo immaginario, quasi onirico, in cui tutto ha la consistenza dei ricordi dorati e una lieve deformazione da desiderio. 

È un peccato allora che Meet Cute sbagli la chiusura, prema fortissimo sulla lettura psicanalitica e sveli con smaccata sfacciataggine che stiamo parlando di un’allegoria di come si svolgono (e risolvono) i problemi di relazione, affondando nel passato capendo l’origine di certi atteggiamenti e quindi fidandosi dell’altro per risolverli. Ma anche volendo superare un po’ di didascalismo a sgonfiare tutto è la fine di quella gran tensione sentimentale che il copione di Pnueli, la regia di Lehman e la chimica di Davidson/Cuoco avevano creato. Vorrebbe arrivare all’apice e invece chiude in minore. Perché?

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