Mea Culpa, la recensione
Mea Culpa incrocia con mestiere legal drama ed erotismo, offrendo una valida alternativa a saghe come 365 giorni.
La recensione di Mea Culpa, il nuovo film diretto da Tyler Perry, in streaming su Netflix dal 23 febbraio.
In un certo senso, Mea Culpa si inserisce nella stessa tradizione di erotica softcore che di recente ci ha dato le famigerate saghe di 50 sfumature di grigio e 365 giorni,quest’ultima a sua volta un prodotto Netflix. Il terreno su cui gioca è più o meno quello, la Bella che si fa sedurre dalla Bestia tentando di addomesticarla e farne “husband material”. Senza essere particolarmente più ambizioso o più audace nella rappresentazione del sesso, il film di Perry è però molto più capace di giocare coi meccanismi del genere, sia l’erotico sia il thriller, divertendosi a sguazzare nel torbido e rivelando una solidità nei dialoghi e nella costruzione dei personaggi che testimonia l’esperienza di un veterano della tv e del teatro americano.
Più di questo non è il caso di chiedergli, anche se qua e là la voglia di “dire qualcosa” emerge. C’è una rappresentazione abbastanza tossica della famiglia americana, in particolare dei rapporti disfunzionali tra figli maschi e madri/matriarche - tema che attraversa un po’ tutta la produzione di Perry. E c’è un discorso in filigrana sulla difficoltà di noi pubblico a sospendere il giudizio quando l’artista di turno si trova sotto accusa, o all’opposto sul fascino perverso di cui l’idea del crimine ammanta la sua opera. Niente che vada oltre lo spunto superficiale, ma per fortuna Mea Culpa ha la leggerezza e l’intelligenza di non prendersi mai troppo sul serio. E va bene così.