Mayhem, la recensione
La nostra recensione di Mayhem, film diretto da Joe Lynch presentato al Trieste + Science Fiction Festival
Joe Lynch, già autore di Wrong Turn 2 ed Everly, ritorna in un mondo all'insegna dell'azione e della violenza con Mayhem, in cui una normale giornata di lavoro prende una svolta inaspettata e mortale.
In città c'è infatti un terribile virus che impedisce agli infettati di frenare i propri istinti. I dipendenti di una società si ritrovano alle prese con l'epidemia e la scelta di mettere in quarantena l'intero edificio. Derek (Steven Yeun), un impiegato insoddisfatto e trattato in passato in modo irrispettoso a causa della collega Kara (Caroline Chikezie), inizia a lottare accanto a Melanie (Samara Weaving), una cliente adirata. I due non esitano a uccidere pur di cercare di arrivare ai piani alti dove vogliono far sentire le proprie ragioni ai dirigenti della Towers & Smythe Consulting e ottenere giustizia prima che sia troppo tardi.
I primi minuti del film rivelano con efficacia come funziona il virus e sottolineano come gli individui reagiscano in base alle situazioni in cui si trovano e alla propria personalità, spiegando così come ognuno dei personaggi sia in una situazione diversa quando inizia la quarantena. Il protagonista Steven Yeun, dopo la sua esperienza nella serie The Walking Dead, non si trova certo in difficoltà nell'interpretare un uomo comune alle prese con eventi che fanno emergere il lato più estremo delle persone e il feeling che l'attore riesce a creare con la Weaving è apprezzabile e credibile. Lynch sviluppa inoltre con bravura la struttura narrativa in cui ogni piano presenta un nemico diverso per il protagonista da superare per arrivare al confronto con il "villain" finale. La rabbia inespressa dai lavoratori si fa così strada nel mondo immacolato e quasi asettico dell'azienda per cui lavorano anche a livello visivo e il sangue che ricopre Derek diventa un costante reminder della differenza tra quello che ogni impiegato cerca ogni giorno di reprimere, accumulando stress e frustrazione.
Il budget limitato non penalizza in modo evidente il lavoro compiuto dalla troupe e dai protagonisti e l'esperienza quasi catartica, destinata però a "stomaci forti", appare ben confezionata nel suo ironico approccio all'idea di meritocrazia all'interno di una società profondamente corrotta.